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Perché la Cina galoppa ma non tira. L’analisi di Pennisi

Il Dragone torna a crescere dopo la grande pandemia, unico Paese al mondo. Ma le cose stanno davvero così? I dati sulla bilancia commerciale dicono che…

I telegiornali della sera di ieri 21 ottobre hanno dato risalto alle notizie relative alla ripresa economica della Cina, mentre Europa. Usa e resto del mondo sono alle prese con grande recessione provocata dal virus proveniente dal mercato e/o dal laboratorio di Wuhan. C’è, senza dubbio, lo zampino, peraltro legittimo, del portavoce dell’Ambasciata di Pechino a Roma, nel quadro del più ampio programma del governo e del Partito Comunista Cinese di mostrare la superiorità del sistema economico e politico di quello che fu il Celeste Impero rispetto a quelli del resto del mondo.

Le statistiche cinesi sono sempre da prendere con le molle, tranne quelle sulla contabilità economica nazionale e sulla bilancia commerciale e dei pagamenti, che hanno un certo grado di validazione da parte del Fondo monetario internazionale, condizione per entrare e restare nell’istituzione. Quindi, è bene partire da questi dati per fare alcune puntualizzazioni su presentazioni di notiziari televisivi che, necessariamente affrettate e condotte da giornalisti senza la necessaria formazione statistico-economica, hanno probabilmente dato un’impressione non corretta.

In primo luogo, l’elemento centrale è il raffronto, nella contabilità economica nazionale, tra il terzo trimestre del 2019 e quello del 2020. I dati mostrano un differenziale positivo del 4,9%, mentre in Europa e negli Usa si sfiorava una contrazione a due cifre. Da un lato, ciò mostra che le dure misure repressive contro il virus nei primi due trimestri del 2020 – inimmaginabili se non in uno Stato dittatoriale, ben più che autoritario – hanno avuto l’effetto di contenere, prima, e contrastare, poi, la pandemia, ed ora di porre le basi di una crescita che potrà tornare su quel 6% l’anno, quella che pareva essere la tendenza prima della crisi sanitaria ed economica mondiale. Ed è una crescita sostenuta ma inferiore a quell’8% l’anno che secondo gli studiosi di scienza della politica sarebbe necessario per frenare le forze interne di province che vogliono allontanarsi dal giogo di Pechino.

In secondo luogo, una crescita della Cina che si muove sul sentiero del 6% l’anno può aiutare il resto del mondo ad uscire alla depressione, ossia a fare da traino all’economia mondiale e prendere – come sostengono i portavoce di Pechino – il ruolo che hanno avuto gli Stati Uniti nel consesso internazionale nei settanta anni dopo la fine della seconda guerra mondiale?

I dati sulla bilancia commerciale sono rivelatori. I questi mesi, nonostante il calo generale della domanda mondiale, la Cina ha esportato alla grande prodotti sanitari (mascherine, ventilatori, alcuni farmaci), elettronica ed altri beni in forte domanda durante la pandemia (quando in Occidente i centri di produzione erano chiusi a ragione del lockdown). Forti aumenti di importazioni della Cina dal resto del mondo solo in tre comparti: a) ferro grezzo dal Brasile b) cereali e carne di maiale dagli Stati Uniti c) olio di palma dalla Malesia. Sui corsi dell’olio di palma si sono avvertiti effetti. Sono aumentate in misura impercettibile le importazioni di altri prodotti e da altre aree. La crescita è stata trainata dalla domanda interna: maggiori consumi (dopo la ferrea chiusura) anche al fine di calmierare le tensioni e soprattutto un rilancio vigoroso degli investimenti pubblici (Ferrovie, Telecom). In settembre, le vendite al dettaglio mostravano un aumento del 3,3% rispetto ad un anno fa e la produzione industriale uno del 6,9%.

Sull’ultimo numero di The World Economy due economisti dell’Australian National University, di cui uno di origine cinese (Rod Tyers e Yixiao Zhiou) esaminano recenti riforme tributarie in Cina, le nuove politiche monetarie cinesi ed il confronto commerciale tra Pechino e Washington (destinato a proseguire quale che sarà l’esito delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti). La conclusione è che, nonostante la decisione di fare fluttuare il cambio, non solo la crescita cinese non fa da traino all’economia mondiale, ma nel dopo pandemia si prospettano dazi generalizzati contro il made in China.

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