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primum vivere deinde philosophari

Primum vivere, deinde philosophari. Thomas Hobbes la metteva così. D’accordo, allora primum quella spesa, resa indifferibile per generare la ricchezza di cui si ha bisogno per poter vivere la vita; una vita fatta così rende necessaria nuova produzione e lavoro, prodromi per generare nuova spesa. Si, così nuova ricchezza e continuare a poter vivere; con il prelievo fiscale racimolato si finanzia la quella spesa pubblica che, garantendo l’istruzione, la sanità, la sicurezza, la prevenzione, la dotazione infrastrutturale, rende ancor migliore la vita.
Poi, senz’attendere che finisca il primum, magari per intestarsi la paternità del tutto, s’insinua di soppiatto un assunto di “senso”. Beh, frutto più che del philosophari, di una combutta di economisti che, nel far “theoria”, trova la summa nel paradigma che attribuisce alle Imprese la generazione di tutta quella ricchezza pur senza, di fatto, averla generata. Tant’è! Incassato il malloppo tocca loro doverlo trasferire: con gli utili, a sè medesime; con il salario a chi per esse ha lavorato. Incuranti nell’allocare se, quel potere d’acquisto – generatore del malloppo, trovi il ristoro adeguato per potersi riprodurre.
Bene seppur, nell’economia della produzione, tutto questo un sense l’ha avuto; diventa nonsense in quella dei Consumi tanto che, di fronte ai fatti che scuotono proprio la generazione della ricchezza, le imprese non si raccapezzano. Essì, quando, il 10 ottobre del ’20, reclamano un cambio di paradigma per la politica economica e, per bocca del patron Bonomi, nel paragrafo dedicato alle policy per la crescita, dicono: “Dall’inizio degli anni Novanta a oggi, dopo ogni crisi, l’Italia si è adagiata su ritmi di crescita man mano più modesti. In termini di PIL pro-capite, con la crisi da COVID-19, l’Italia è tornata ai livelli di fine anni Ottanta.”
Cavolo…. rei confessi se, in questi 30 anni, si è generata penuria!
Approposito, ai quei combutti dottrinari non sembra andare meglio se, il premio Nobel 2020 dell’Economia, viene assegnato agli statunitensi Paul R. Milgrom e Robert B. Wilsom “per i miglioramenti che hanno approntato alla teoria delle aste e l’invenzione di nuove forme di aste”.
Bella no?
Mauro Artibani, l’economaio
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