Un dibattito “scoraggiante” che però “probabilmente riflette in maniera precisa il pietoso stato della politica americana di oggi”. Così David Unger, storica firma del New York Times e professore di politica estera Usa alla John Hopkins, commenta a Formiche.net il primo confronto televisivo tra il presidente in carica Donald Trump e lo sfidante, il dem Joe Biden. “Penso sia stato orribile ma non credo sposterà molti voti”, spiega.
Com’è andato il dibattito per Trump?
Trump ha puntato tutto sull’offensiva e sull’imprevedibilità. Il suo obiettivo era destabilizzare l’avversario e rafforzare l’idea diffusa dai media di destra sul presunto socialismo radicale che domina il Partito democratico.
Ce l’ha fatta?
Leggendo i giornali statunitensi sembra che non abbia avuto il successo sperato. Anche tra i repubblicani c’è chi è convinto che abbia esagerato con l’aggressività contro Biden e che abbia perso voti.
È così?
Difficile dire quali effetti abbia avuto il dibattito. Generalmente le persone vedono ciò che vogliono vedere e non c’è dubbio che la rabbiosa ostilità di Trump funzioni con gran parte della sua base elettorale.
E com’è andata per Biden?
Il suo compito era apparire calmo e rispondere ai repubblicani che l’avevano etichettano come vecchio e folle. Sembrava più preoccupato di dimostrare calma e fermezza che spiegare nel dettaglio le sue proposte politiche per rispondere ai gravi problemi del’America. Ce l’ha fatta. È apparso vecchio sì, ma chiaro.
Mentre chiacchieriamo siamo in attesa del risultato del test di Biden. Con la positività del presidente Trump al coronavirus, il dibattito tra i vicepresidenti Mike Pence e Kamala Harris, in programma mercoledì sera, diventa più importante?
Credo sia automatico pensare che sarà più importante. Ma molto dipenderà dagli aggiornamenti medici dei prossimi giorni.
Potrebbe essere l’occasione per sentire parlare un po’ più di politica estera?
Questo è un problema, perché né Pence né Harris hanno grande esperienza in maniera. Si sono sempre concentrati su questioni interne, lui nel Mid-West da governatore dell’Indiana, lei da attorney general in California. Penso che entrambi si troverebbero a disagio a rispondere a domande di politica estera. Se dovessi lavorare alla strategia per Pence contro Harris (o contro Biden se Trump non potesse continuare la corsa) gli consiglierei di mostrare l’esperienza maturata in politica estera in tre anni di vicepresidenza. Ma sarebbe una strategia rischiosa.
Come mai?
I democratici non avrebbero molte difficoltà a dimostrare, con le giuste domande, che è debole in politica estera.
Anche il dibattito tra i vicepresidenti sarà per larga parte dedicato a questioni interne, quindi?
Immagino che entrambi cercheranno di enfatizzare i temi di politica interna ma anche personalità, fermezza e calma per convincere gli indecisi, coloro che, nella divisione del Paese, cercano serietà e sobrietà.
E se invece dovesse lavorare alla strategia per Harris?
Non avendo grande esperienza nei dibattiti, penso dovrebbe studiare quelli delle primarie in cui è andata bene. Perché può ripetersi. Può fare con Pence quello che fece con Biden — “hai fatto questo, non ha fatto quello” — mettendolo sulla difensiva chiedendogli conto delle sue scelte su molti temi. Essendo una figura nuova della politica americana dalla California ha il dovere di dimostrare di essere pronta per il palcoscenico nazionale