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La strategia di Atene (verso gli Usa) per frenare la Turchia

Aggressiva, revisionista, destabilizzatrice. Sono alcuni aggettivi usati dal ministro della Difesa greco, Panagiotopoulos, nella conversazione con Ian Lesser del GMF. Tutti rivolti alla Turchia, artefice secondo Atene di una vera e propria “guerra ibrida”. La Grecia guarda all’Ue, alla Nato e agli Stati Uniti (con interesse per gli F-35)

La Turchia sta destabilizzando l’Occidente. È la sentenza (prevedibile) di Nikos Panagiotopoulos, ministro della Difesa della Grecia, protagonista ieri di una conversazione con Ian Lesser, vice presidente del German Marshall Fund of the United States (GMF), nell’ambito della serie di eventi organizzati dal think tank americano in partnership con la Compagnia di San Paolo, la Luso-American Development Foundation e il Policy Center for the New South. Al centro del dibattito la crisi nel Mediterraneo orientale, dove le ambizioni neo-ottomane di Recep Erdogan hanno destabilizzato un contesto già fragile.

IL PUNTO DI ATENE

Non usa mezzi termini il ministro greco: “La Turchia è divenuta negli ultimi mesi più self-confident, atteggiamento a cui ha accompagnato una crescente retorica aggressiva, un’attitudine al confronto e una posizione politica revisionista”. Un approccio neo-ottomano, che secondo Panagiotopoulos si è palesato con vigore dallo scorso marzo, quando è andato in scena “l’archetipo di attacco ibrido”, cioè la pressione migratoria sul confine orientale greco. “Migliaia di migranti illegali trasportati al confine tramite un’enorme organizzazione logistica”, ha detto il ministro. L’obiettivo? “Trovare un mondo per destabilizzare l’Europa”.

LA PRESSIONE IN MARE

Poi, in estate, “la pressione è cresciuta sui confini marittimi”, tra le intromissioni nella zona economica esclusiva di Cipro, le esercitazioni in mare e le pretese sulle isole greche. Trattasi di “atteggiamento provocatorio che ci si poteva aspettare”, ma che ha trovato slancio diverso in questi mesi, ha rimarcato Panagiotopoulos. È un “revisionismo aggressivo di un Paese che si percepisce come potenza emergente e che è allarmante per tutto l’Occidente”. Per questo, ha aggiunto, la risposta di Atene è stata “risoluta nella difesa dei nostri confini, apprezzata dall’Europa che ne è stata galvanizzata”, ha aggiunto il ministro.

LA PARTITA NATO

Eppure, la tensione ha rappresentato soprattutto una sfida per la Nato, chiamata a evitare pericolose escalation tra due membri storici e importanti, in una partita delicata per l’unità interna. Nonostante le critiche dei detrattori (tra cui Emmanuel Macron, che l’ha definita “in morte cerebrale”), l’Alleanza si è rivelata il contesto adatto per ripristinare un minimo di fiducia reciproca, potendo contare su rodati canali operativi. E così, già a settembre, in ambito Nato è sorto un meccanismo di de-confliction dotato persino di una linea rossa diretta tra Ankara e Atene per scongiurare incidenti a fronte di esercitazioni incrociate e manovre in mare. È solo il primo passo per riprendere il dialogo diplomatico, ma comunque incoraggiante.

LE CONDIZIONI DELLA GRECIA

“Secondo noi – ha detto Panagiotopoulos – dovrebbe passare dal livello militare a quello politico-diplomatico”. A una condizione, sempre sostenuta da Atene: “Che tutte le unità navali militari e le unità d’esplorazione vengano ritirate dall’area”. Su questo non sta aiutando l’assertività turca, né la crisi dei rapporti tra Erdogan ed Macron. La Francia si è rivelata sin da subito sostenitrice della linea dura su Ankara, trovando facile sponda nell’ambito dell’Unione europea in Atene e Nicosia, da tempo a chiedere nuove sanzioni per la Turchia (linea ricordata da Panagiotopoulos). D’altra parte, gli interessi in gioco collidono tra loro, tra zone economiche esclusive, rivendicazioni su acque e pretese storiche.

IL RUOLO AMERICANO

Secondo gli esperti, a rendere la crisi attuale più pericolosa rispetto a simili episodi del passato è stato soprattutto l’atteggiamento defilato degli Stati Uniti. Presi dalla corsa verso il 4 novembre, hanno ridotto il ruolo di stabilizzatore esercitato in passato. Come dimostra la stessa presenza di Panagiotopoulos all’evento del GMF, la Grecia non smette di guarda all’alleato d’oltreoceano. Negli Usa sarebbe in crescita una certa insofferenza per il neo-ottomanesimo targato Erdogan, dal Nagorno Karabakh fino a un lento scivolamento tra le braccia di Vladimir Putin con l’acquisto del sistema russo S-400 (testati da poco per la prima volta). Scivolamento non a caso ricordato dal ministro turco, che ha descritto la commessa come “una prova di come a Turchia mini dall’interno dal coesione della Nato”.

TRA S-400 E F-35

Nel tour europeo di fine settembre, il segretario di Stato Mike Pompeo ha fatto tappa anche in Grecia e Turchia, promuovendo la linea del dialogo e invitando alla moderazione. Stando alle notizie riportate dal quotidiano greco Estia, in occasione dell’incontro con il primo ministro Kyriakos Mitsotakis avrebbe trovato l’intesa per la fornitura alla Grecia di venti F-35, tra cui sei velivoli inizialmente destinati alla Turchia. Il jet di quinta generazione è ormai vero strumento diplomatico per gli Stati Uniti (di ieri la notifica della Casa Bianca per la vendita agli Emirati), nonché elemento di più forte ritorsione nei confronti dell’acquisto turco dei sistemi russi S-400. Ankara non solo è stata sospesa dal programma, ma potrebbe addirittura vedere i “suoi” velivoli diretti verso il principale competitor nel Mediterraneo. Nella conferenza stampa congiunta, Pompeo e Mitsotakis hanno parlato del “Mutual Defense Cooperation Agreement” aggiornato nel 2019, facendo riferimento a ulteriori “azioni e attività nell’area dell’industria della difesa”.

L’INTERESSE GRECO

L’interesse greco per gli F-35 è noto dallo scorso gennaio, da quando Mitsotakis ha fatto visita alla Casa Bianca a Donald Trump. Pochi giorni dopo, era stato proprio Panagiotopoulos a confermare che si trattava di 24 velivoli per circa 3 miliardi di dollari, da aggiungere al programma di aggiornamento per gli F-16, nonché ai 18 Rafale chiesti alla Francia più di recente. Anche su questo ha insistito il ministro greco, senza citare programmi, ma ribadendo la determinazione di Atene a rafforzare la propria difesa.

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