I missili nucleari della Corea del nord fanno ancora paura. Nonostante la distensione portata avanti da Donald Trump con il regime di Kim Jong-un, il programma balistico nordcoreano resta “una seria minaccia” per la stabilità della regione e del mondo. Parola del segretario alla Difesa Usa Mark Esper, che ieri ha ricevuto al Pentagono l’omologo sud-coreano Suh Wook, alla prima uscita dopo l’incarico ricevuto a settembre. Suh era desideroso di incassare da Washington la conferma dell’alleanza strategica con Washington, che da parte sua chiede da tempo una maggiore assunzione di responsabilità in termini di spese per la difesa.
I MISSILI DI KIM
La conferma sull’alleanza è arrivata, con gli occhi puntati sulle novità missilistiche di Pyongyang. Cinque giorni fa, nella tradizionale parata per l’anniversario della fondazione del Partito dei lavoratori coreano, il regime ha mostrato due nuovi assetti missilistici: un nuovo missile balistico lanciabile da sottomarino e, soprattutto, un nuovo missile balistico intercontinentale, un razzo da 26 metri trasportato da un veicolo a undici ruote. Si aggiungono a un arsenale già nutrito e più volte testato, condito da vettori in grado di raggiungere gli Stati Uniti. “Di fronte a queste e ad altre minacce, gli Stati Uniti restano impegnati per la sicurezza della Repubblica di Corea”, ha detto Esper all’omologo sudcoreano.
SFIDE REGIONALI
Il clima è decisamente meno teso rispetto a tre anni fa, complice lo storico abbraccio tra Kim e Moon Jae-in a maggio 2018 e l’impegno dell’amministrazione Trump a promuovere la de-escalation. Eppure, le ambizioni balistiche di Pyongyang non si sono abbassate. D’altra parte, in tutti i documenti strategici degli Usa la Corea del nord resta (con l’Iran) la sfida principale tra quelle di categoria “regionale”, mentre a livello globale il focus è sul ritorno al confronto tra grandi potenze, Russia e Cina. Alle sfide regionali il Pentagono ha ormai spiegato di voler rispondere con il rafforzamento della alleanze, e quella per l’estremo oriente guarda soprattutto a Corea del sud e Giappone. In tal senso, dalla visita di Suh al Pentagono è arrivata l’intenzione di rafforzare l’alleanza trilaterale.
UNA PARTNERSHIP SOLIDA
“La solida partnership tra le nazioni sostiene la sicurezza e la prosperità nella penisola coreana e anche nella regione indo-pacifica”, ha infatti detto Esper. L’obiettivo condiviso resta per una “denuclearizzazione completamente verificata della Corea del nord”. Obiettivo da raggiungere anche un il rafforzamento degli strumenti di pressione. E così, Esper e Suh hanno rilanciato la collaborazione bilaterale tra Washington e Seul nel campo della Difesa, promuovendone il rafforzamento nei campi innovativi dello spazio extra-atmosferico e cibernetico. Per gli Stati Uniti, poi, avere alleati più attivi vuol dire anche abbassare il grado di coinvolgimento diretto. Non sono mancate le punzecchiature di Trump a Seul sul costo della presenza militare Usa nel Paese (oltre 28mila militari), con tanto di richiesta di pagamento maggiore. La questione è in fase di discussione tra le rispettive strutture della Difesa, alla ricerca di un accordo “equo”.
LA DIFESA DI SEUL
Non a caso Esper e Suh hanno discusso anche del passaggio del controllo militare operativo (ancora in mano americana) al comando sudcoreano. Non è un caso nemmeno che Esper abbia ribadito l’invito a spendere di più per la Difesa, come fatto già ad aprile da Donald Trump. Il governo di Seul ha su questo un piano corposo di modernizzazione dello strumento militare. Per il 2020 può contare su 3,3 miliardi di dollari per i programmi di ricerca e sviluppo, pari al 16% del budget totale che il governo gestisce per attività di R&D, tra l’altro nell’ambito di un bilancio della Difesa di oltre 42 miliardi di dollari.