Il segnale che ha mandato la tornata di ballottaggi in vari comuni di domenica e lunedì scorsi è molto più preciso di quello uscito due settimane fa dalle regionali. In quel caso, tutti potevano gridare vittoria, a torto o a ragione (i Cinque Stelle più a torto visto che avevano dovuto poggiare la loro soddisfazione, in modo spurio, sul contemporaneo risultato referendario). Ora, è evidente che, con il traino del Pd, è il centrosinistra che può a ragione ritenersi il vincitore di queste elezioni.
Ovviamente, nelle comunali, i consensi vengono anche dati ad personam, ancor più che nelle regionali. Tuttavia, il voto di opinione, in un’epoca di blocchi di interesse fluidi, ha un peso sempre maggiore, e quindi la nostra analisi che lo astrae dal contesto specifico non può essere considerata del tutto campata in aria. La prima domanda da porsi è: perché una quota non indifferente di chi non lo aveva fatto quindici giorni fa oggi ha votato a sinistra? Io partirei da un dato: almeno la metà della popolazione italiana non è soddisfatta né dell’esecutivo, né della maggioranza che lo sostiene, soprattutto, ma non solo, per come sta gestendo l’emergenza sanitaria ed economica. In molti, probabilmente, non credono nemmeno che la destra avrebbe fatto molto meglio, ma in ogni caso pensavano che l’ipotesi salviniana di una “spallata” avesse una sua plausibilità. Non essendoci stata, risultando a tutti evidente che, nonostante le loro debolezze, governo e maggioranza dureranno ancora molto, questi elettori, abbastanza postideologici, hanno pensato che fosse opportuno allineare politicamente i comuni al centro, anche in vista dell’arrivo degli agognati (e si spera reali) fantamiliardi da Bruxelles.
Se questa analisi è corretta, il vecchio monito andreottiano sul potere che logora chi non ce l’ha risulterebbe pienamente confermato. È evidente che il vincitore di questa partita è Nicola Zingaretti, che ha avuto una attestazione anche sulla bontà della sua politica di “alleanza strategica” con i Cinque Stelle. Tanto che lo stesso Luigi Di Maio, sempre fluido e veloce nelle reazioni, si è affrettato a osannarla, anche se, in fondo in fondo, per Zingaretti si tratta di un’alleanza che ai Cinque Stelle mira a inglobarli, giocando sulle loro contraddizioni e sulla guerra intestina che li attanaglia. Trattandosi però di un processo non velocissimo, i pentastellati non mancheranno di far pesare ancora la loro forza numerica parlamentare e quindi bloccare di fatto, con le loro divisioni, il presidente del Consiglio su molti dossier: dai “decreti sicurezza” a “quota 100”, dalle grandi opere alla messa in campo di una coerente politica economica e industriale. Zingaretti continua perciò a giocarsi la faccia, anche verso l’Europa verso cui il suo partito si è fatto garante.
Quanto alla Lega, è evidente che l’operazione salviniana di “sbarco al Sud” si è dimostrata molto più difficile di quanto il leader leghista potesse immaginare. Più che riscrivere il progetto di una Lega nazionale, occorrerebbe probabilmente lavorare lungo due direttrici: da una parte, una migliore articolazione di esso; dall’altra, l’elaborazione di un progetto più complessivo per tutto il centrodestra. Il quale ha anche un problema di classe dirigente e intellettuale, che prima o poi dovrà affrontare.
L’elezione del sindaco di Roma e di quello di altre importanti città nella prossima primavera potrebbe essere l’occasione per questa necessaria correzione, non inversione, di rotta. E i candidati dovranno essere scelti con molta oculatezza e che con un carisma e un peso loro specifici.