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Avviso ai naviganti europei. 5G cinese come il gas russo. Ecco perché

La dipendenza europea dal gas russo (su cui pesa l’appeasement tedesco) è comparabile a quella dal 5G cinese? Secondo Kristine Berzina (Gmf) sì. Ma c’è una differenza enorme: l’Ue non ha 40 anni di tempo prima di agire

Perché per l’Europa dipendere dalla Cina per il 5G può rappresentare un rischio simile al vincolo energetico che la legava alla Russia? Un interrogativo intrigante a cui ha provato a rispondere Kristine Berzina, senior fellow della Alliance for Securing Democracy al German Marshall Fund, in un recente rapporto intitolato “5G Security: The New Energy Security”. Il 5G è la nuova infrastruttura, la nuova energia. All’Unione europea sono serviti “quasi quattro decenni e fondi ingenti per mettere in atto un quadro normativo e un’infrastruttura che compensassero i rischi per la sicurezza energetica inerenti alla dipendenza dal gas naturale russo”, nota l’esperta parlando del gas naturale russo e sottolineando il ruolo della Germania durante la Guerra fredda. E non tralascia gli impegni dell’ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder, presidente dei board di Rosneft e del consorzio Nord Stream.

IL TEMPO STRINGE

Ma “l’Unione europea non ha quarant’anni per prepararsi al rischio della coercizione tecnologica ed economica della Cina”, prosegue Berzina nelle pagine introduttive del documento. “L’economia digitale si sta muovendo più velocemente e sarà più fondamentale per la trasformazione dell’economia europea nei prossimi decenni di quanto lo sia stato finora il commercio di energia con la Russia”. Rischi così rivelanti che l’esperta scrive: “Potrebbe essere più importante per l’Europa proteggersi dalle vulnerabilità strategiche che possono derivare dalla dipendenza tecnologica dalla Cina di quanto non fosse per l’Europa risolvere la questione del gas, e l’Europa avrà meno tempo per farlo”.

LE SIMILITUDINI GAS-5G

La dipendenza dalla Russia per il gas naturale e dalla Cina per il 5G sono simili in cinque modi, scrive l’esperta. Primo: “Le reti 5G come il gas naturale hanno un’ampia portata economica e sociale e creano vulnerabilità di sicurezza sia per gli Stati sia per i cittadini”. Secondo: “La realizzazione di reti 5G con società cinesi o l’acquisto di gas naturale da Gazprom sono situazioni in cui entità commerciali nelle democrazie firmano contratti con entità che prendono direttive da governi autoritari”. Terzo: “Sia le reti 5G che i gasdotti naturali sono investimenti infrastrutturali a lungo termine in cui la dipendenza può generare dipendenza”. Quarto: “Sia le reti 5G che i gasdotti naturali creano dipendenze contrarie alle alleanze strategiche, mettendo gli Stati membri dell’Unione europea l’uno contro l’altro e spezzando l’alleanza transatlantica”. Quinto: “Sia le reti 5G che i gasdotti naturali mettono a rischio le élite politiche e imprenditoriali di essere cooptate da Stati ostili”. E poteva mancare nell’ultimo punto un altro riferimento a Schröder che sa tanto di invito alla Germania a non ripetere quanto fatto sul dossier gas (in particolare con il prossimo ingresso di Joe Biden alla Casa Bianca)? No.

LE CONTROMISURE

Agire in fretta e in maniera compatta, oltre che con i Paesi che “sostengono le forme democratiche” come Stati Uniti, Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda, India e Corea del Sud: è la soluzione che Berzina suggerisce all’Unione europea. Altrimenti? Gli scenari “non desiderabili” sono tre: le black box cinesi nelle reti 5G; la frammentazione europea con conseguente difficoltà a raggiungere una posizione comune sulla Cina (un terreno molto favorevole a Pechino come visto negli ultimi anni); la perdita dei “campioni europei” (Ericsson e Nokia) con il risultato di un totale dipendenza tecnologica da terzi.

E L’ITALIA?

L’Italia viene citata quattro volte nel documento. Figura tra i 15 Paesi dell’Unione europea che dipendono per oltre il 50% della rete 4G dalla Cina (assieme a Germania e Grecia). È, con la Grecia, uno degli hub del gas russo in Europa. Due volte viene citata per la Via della Seta: la prima per l’adesione nel marzo 2019, la seconda per le preoccupazioni in materia di sicurezza che la firma di quel Memorandum d’intesa con Pechino suscitò negli Stati Uniti quanto nell’Unione europea.



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