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Biden, gli Stati Uniti e l’Ue. La road map di Roberto Fico

Di Valeria Covato e Francesco Bechis

Intervista esclusiva di Formiche.net al presidente della Camera Roberto Fico, veterano e leader del Movimento Cinque Stelle. Con Joe Biden alla Casa Bianca un’opportunità per rilanciare i rapporti fra Ue e Usa. Dalla Cina all’Iran, dalla Russia alla Libia e la sfida climatica, ecco una road map

Joe Biden si prepara a sostituire Donald Trump alla Casa Bianca. Ma il trumpismo non se ne andrà tanto in fretta. Roberto Fico, presidente della Camera dei Deputati, tra i leader e veterani della prima ora del Movimento Cinque Stelle, invita ad abbandonare letture frettolose delle elezioni americane. È vero, spiega in questa intervista esclusiva a Formiche.net, si può aprire una nuova era nei rapporti fra Europa e Stati Uniti. Sul fronte diplomatico però rimangono tante sfide comuni da affrontare, dai rapporti con Cina e Russia al dialogo con l’Iran, dalla crisi in Libia al cambiamento climatico. Ecco come l’Italia, e il Movimento, possono farsi trovare pronti.

Presidente, sembra che la Casa Bianca abbia un nuovo inquilino: Joe Biden. Cosa si aspetta dalla sua amministrazione?

Credo che i segni di una discontinuità saranno percepibili su diversi fronti. A cominciare dall’impegno sul lato ambientale e da un diverso approccio nella gestione del fenomeno migratorio e nel rapporto con tutte le minoranze, alcune delle quali hanno attraversato anni davvero duri e angoscianti. Del resto alcuni provvedimenti in tal senso sono stati già annunciati da Biden, come l’adesione all’accordo di Parigi e il superamento del Muslim ban. Sul piano internazionale viene dato per scontato sia un ritorno degli Usa all’approccio multilateralista sia una ripresa, in forme rinnovate di collaborazione, delle relazioni transatlantiche. Ritengo che entrambe queste linee direttrici si rendano più che mai necessarie di fronte alle enormi sfide globali che siamo chiamati insieme ad affrontare: la pandemia, i cambiamenti climatici, la lotta alle diseguaglianze.

L’America attraversa un periodo di prova dovuto alla pandemia e alle tensioni sociali. Crede che Biden sia l’uomo giusto per riunire il Paese?

Gli Stati Uniti appaiono provati e divisi. In un simile contesto il modo di porsi di Biden, pacato, non urlato, di certo può contribuire ad abbassare la temperatura e a depurare il discorso politico da una certa esasperazione e tossicità. Ce n’è particolare bisogno proprio in questa fase pandemica. Penso che tanti di noi siano rimasti sconcertati dal fatto che l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale si sia trasformato – in verità non solo negli Stati Uniti – in elemento di contrasto e di manifestazione di un’appartenenza politica. A ogni modo il lavoro di ricucitura di Biden non sarà semplice per la fase storica in cui si trova il Paese, le tensioni sociali, i numeri e i difficili assetti politici da individuare. In più, dovrà fare i conti con la ricerca di un complesso equilibrio fra ripresa economica e fermezza nel contrasto alla diffusione del Covid, elementi che sono stati posti in contrapposizione durante la campagna elettorale.

Il trumpismo, dentro e fuori i confini americani, si può considerare al tramonto?

No, il presidente Trump è stato sconfitto in un’elezione maggioritaria ma non per questo possono dirsi tramontate le istanze di cui si è fatto portatore. Piuttosto, potremmo essere entrati in una fase nuova, in cui una certa onda di cui quel progetto politico è stato – ed è – espressione sta subendo un riflusso, ma tutto sta a capire quali elementi concreti di risposta avrà dalla nuova amministrazione: perché non è sufficiente una narrazione diversa. Il sostegno a Trump è radicato in un certo tessuto territoriale, è un prodotto delle profonde trasformazioni che hanno attraversato la Rust Belt, rispetto alle quali in passato sono evidentemente mancate da parte dei democratici risposte adeguate, una visione, una progettualità politica, e anche la capacità di rinnovarsi. Sono lacune che in questi anni hanno accomunato diverse forze progressiste anche a livello europeo, e non possono essere sottaciute. Al contempo i risultati elettorali ottenuti da Biden in quell’area del Paese segnano un momento di ripresa per i democratici rispetto a quattro anni fa e dimostrano come una parte del malcontento sia stata intercettata e compresa. Molte aree del Paese sono tuttavia ancora pervase da sfiducia, rabbia e da una paura “ancestrale” che le politiche democratiche, improntate a un maggiore multiculturalismo e ad una maggiore apertura al commercio globale, impoveriranno ulteriormente la classe media e quella con redditi medio-bassi. Fuori dai confini americani, invece, va osservato che esistono soggetti politici, alcuni alla guida di grandi Paesi (penso al Brasile), che si rifanno a quel modello. E questi partiti esistono e hanno un seguito anche in Europa.

Quattro anni fa la vittoria di Donald Trump è stata letta come l’inizio di un’onda di cambiamento internazionale, iniziata con la Brexit e proseguita, in Italia, con la nascita del governo Lega-Cinque Stelle. Oggi quel movimento ha perso trazione?

Ci tengo preliminarmente a fare delle distinzioni tra fenomeni tra loro molto diversi, intendo appunto la Brexit, la vittoria di Trump – ovvero l’ascesa politica di un imprenditore con anni di carriera alle spalle e sostenuto da un partito storico come quello repubblicano – la crescita di movimenti politici come il Movimento 5 Stelle, e ancora la nascita del governo giallo-verde. È certamente vero che in questi Paesi si sono manifestate forme diverse di profonda insoddisfazione verso gli establishment nazionali e la loro capacità di gestire le conseguenze della crisi e della globalizzazione economica. Non devono essere in alcun modo sottovalutate o dimenticate le ragioni politiche ed economiche che hanno generato questa ampia ma eterogenea onda di cambiamento, e che necessitano di risposte adeguate. Nel corso di questa crisi c’è però qualcosa che a mio avviso è entrato nella nostra consapevolezza comune: e cioè il fatto che oggi, di fronte alla pandemia, noi abbiamo compreso che affermare il proprio isolamento è cosa perdente, e che invece cooperare e lavorare insieme rende il mondo più sicuro. La pandemia, da questo punto di vista, potrebbe rappresentare uno spartiacque rispetto alla consapevolezza collettiva che fenomeni globali non si possono affrontare dal giardino dei propri confini nazionali. E a sua volta questa consapevolezza rischia di togliere nutrimento alla dottrina dell’America first.

La vittoria di Biden può avere ripercussioni sulla politica italiana?

Tendenzialmente l’avvicendamento alla guida della Casa Bianca produce sempre effetti interni. E sarà così anche in questo caso, specie laddove la vittoria di Biden dovesse dare vita a un rapporto di rinnovata cooperazione con l’Unione Europea. Rispetto all’impatto sulle forze politiche italiane, ne osserveremo le conseguenze, sia all’interno dei singoli partiti sia delle coalizioni. Cosa avverrà nel campo del centrodestra è particolarmente interessante, e qualcosa si è già intravisto.

In questi anni il Movimento Cinque Stelle ha in parte aggiornato la sua visione di politica estera. Si può oggi considerare un partito filo-atlantico?

L’appartenenza a un sistema di valori e principi comuni, quali quelli custoditi nell’alveo occidentale, dev’essere ferma e indiscutibile. Appartenenza non è però adesione acritica al modo in cui tali principi e valori vengono affermati al di fuori dei nostri confini. Nel Movimento non c’è mai stata una negazione della collocazione atlantica, quanto piuttosto l’assunto che da questa collocazione debba discendere automaticamente e acriticamente l’assunzione di determinate posizioni.

Un più chiaro posizionamento del Movimento in Europa può favorire un’intesa politica con la prossima amministrazione americana?

Credo che il posizionamento del Movimento in Europa sia un tema importante che prescinde dai rapporti con l’amministrazione americana. Investe più in generale l’identità e le prospettive del Movimento, ed è in questa logica che va affrontato. Sicuramente deve essere una priorità dopo gli Stati generali, anche se so che i nostri europarlamentari ci stanno lavorando con pazienza e perseveranza.

Cosa cambierà nei rapporti con l’Italia? Si aspetta una maggiore sintonia con l’attuale governo italiano?

Questo in linea teorica è presumibile, ma occorrerà in concreto misurare questa maggiore sintonia rispetto a tanti dossier aperti. Su alcuni dei quali l’amministrazione Biden sarà, se possibile, ancora più ferma e assertiva, e parlo di una assertività magari meno “esibita” rispetto a quella dell’amministrazione uscente ma altrettanto decisa. Ciò premesso, credo che sui temi ambientali, sulle politiche energetiche e su una progettazione del futuro che tenga insieme, unite, sostenibilità e lotta alle diseguaglianze, abbiamo davvero una grande opportunità di cooperazione negli anni a venire. In tal senso ci attendiamo un forte contributo da questa amministrazione.

In questi anni lei ha coltivato un rapporto costante con la Speaker della Camera americana, la democratica Nancy Pelosi. Su cosa si basa la vostra collaborazione e come proseguirà?

Con Nancy Pelosi – quale ho trasmesso nei giorni scorso una lettera di congratulazioni per la rielezione alla Camera dei rappresentanti – ci sono state in questi anni diverse occasioni di confronto, sia bilaterale che nell’ambito delle riunioni dei Presidenti dei Parlamenti del G7. Abbiamo sviluppato un ottimo rapporto e condiviso ragionamenti sia rispetto a tematiche di interesse comune – penso ad esempio al tema delle conseguenze sociali ingenerate dal cambiamento climatico – sia più recentemente durante il triste periodo delle violenze seguite all’assassinio di George Floyd, e soprattutto rispetto all’approccio da seguire nel contrasto alla diffusione della pandemia e all’importanza che può giocare anche in questo frangente storico la diplomazia parlamentare. Su questi temi ho trovato davanti a me una interlocutrice appassionata e tenace, ma anche sensibile rispetto a questioni che da Presidente della Camera ho sentito il dovere di porre alla sua attenzione, come il caso Chico Forti.

-Non sono mancate dure divergenze fra Ue ed amministrazione Trump. Quale può essere un’agenda per rilanciare i rapporti transatlantici? Come valuta, a tale riguardo, la richiesta di un maggiore impegno europeo per la Nato? L’Italia può fare di più?

Credo che questa questione vada inquadrata partendo da un assunto preliminare: l’Europa ha l’autorevolezza per rafforzare la sua dimensione di soggetto autonomo e centrale sullo scenario internazionale. Deve quindi sviluppare una reale politica estera e di difesa comune. Deve parlare con una voce unica, a partire dai rapporti con gli altri Paesi del Mediterraneo e del Vicino Oriente nonché a quelli con la Russia e l’Europa centro orientale. Deve disporre di un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu. In questo contesto a mio avviso si può porre la questione del maggiore impegno europeo nella Nato: l’Ue deve essere un pilastro dell’Alleanza con pari dignità sotto tutti i punti di vista. Sono convinto che occorra un rafforzamento della cooperazione fra i Paesi membri della Nato sulle nuove sfide e minacce del nostro tempo, sono invece meno convinto che abbia senso concentrarsi su singoli elementi – isolandoli da un ragionamento più ampio – quale appunto quello dell’aumento della spesa militare in rapporto al Pil.

Un altro tema in cima all’agenda diplomatica è il rapporto con la Cina, soprattutto sul fronte tecnologico e della rete 5G. L’Italia ha ribadito con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio il suo posizionamento atlantico. Crede che servirà un passo ulteriore?

Su questo terreno, e in generale rispetto alla posizione statunitense verso la Cina, è lecito attendersi una sostanziale continuità. Biden, anche nella campagna elettorale, si è particolarmente concentrato sulla minaccia tecnologica e cibernetica, chiamando tutti gli alleati a uno sforzo comune. Noi non abbiamo mai sottovalutato i rischi e le potenziali minacce. E infatti il nostro Paese ha prodotto e sta producendo un grande sforzo da questo punto di vista, si è dotato di norme e poteri speciali, monitora costantemente la tenuta dei confini del perimetro golden power. L’attenzione si concentra spesso sugli asset e sulle grandi infrastrutture strategiche, ma noi guardiamo a tutto campo e ci poniamo il problema di tutelare e preservare anche altre realtà, magari piccole nelle dimensioni ma fondamentali parti di filiere e catene di valore strategico.

L’amministrazione Biden promette un approccio più assertivo verso la Russia di Vladimir Putin. Nei mesi scorsi c’è stato un duro confronto fra Ue e Russia su diversi dossier, dalla crisi in Bielorussia al caso Navalny. L’Italia ha fatto sentire abbastanza la sua voce?

Abbiamo espresso, come Paese, la nostra indignazione e la nostra condanna sul caso Navalny, chiedendo lo svolgimento di una inchiesta effettiva. Rispetto al rapporto con la Russia vorrei esprimere una considerazione ulteriore. Quando sono stato a Mosca per pronunciare un discorso alla Duma di Stato, ho ritenuto indispensabile ribadire che per noi il rispetto del diritto internazionale è un valore irrinunciabile, che stare insieme sotto un tetto che si chiama Consiglio d’Europa impone a ciascuno, secondo le proprie condizioni di partenza, dei precisi obblighi, impone di guardarsi dentro, perché non ci può essere cooperazione economica o nella politica internazionale che possa essere disgiunta dal rispetto delle garanzie e dei principi dello Stato di diritto, dalla difesa della dignità umana, dalla tutela del pluralismo politico. La nostra postura, su questo terreno, dev’essere inflessibile. Infine, sempre nel quadro di questo rapporto, esprimo il forte auspicio di un rinnovo del trattato sui missili a corto e medio raggio, accordo rispetto al quale abbiamo registrato un preoccupante arretramento da quei principi e obiettivi comuni che ci siamo dati come comunità internazionale.

Un cambiamento si attende invece nella politica mediorientale. Lei crede che gli accordi di Abramo inaugurati dall’amministrazione Trump siano da tutelare?

Penso che ogni sforzo debba essere fatto per promuovere la stabilizzazione della regione mediorientale. Il passaggio di consegne nell’amministrazione Usa potrebbe favorire un rientro dei palestinesi nei negoziati di pace, sulla base di precise assicurazioni riguardanti il mantenimento del principio dei due Stati e la sospensione delle annessioni.  Gli accordi con gli Stati arabi vanno bene purché non siano fatti contro qualcuno o per isolare uno o più diversi attori regionali. Abbiamo anzi bisogno di uno scatto di innovazione per creare un processo di pace. Credo inoltre che la nuova amministrazione potrà contribuire a meglio definire anche i rapporti tra tutti gli attori regionali operanti nel Mediterraneo centrale. Mi riferisco, in particolare, alla Turchia, che ha assunto – sia nel conflitto siriano e libico, sia nei rapporti con alcuni Paesi dell’Unione – posizioni molto discutibili sul piano politico e del diritto internazionale.

I tempi sono maturi per preparare un nuovo accordo di Europa e Stati Uniti con l’Iran per la denuclearizzazione?

Il contesto è mutato rispetto a quando l’accordo prese vita, e occorre quindi prima di tutto comprendere la reale disponibilità di entrambe le parti. Credo in ogni caso che il ritorno degli Usa nell’alveo del multilateralismo determinerà una rinnovata cooperazione transatlantica su questo aspetto. Bisognerà ad esempio capire se la politica delle sanzioni non abbia avuto anche delle controindicazioni, in termini di rafforzamento dei soggetti più radicali interni all’Iran. Credo che Unione europea e Stati Uniti dovrebbero rinnovare gli sforzi per rilanciare il dialogo con l’Iran cercando in primo luogo di ottenere possibili avanzamenti in termini di rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto.

C’è da attendersi un maggiore coinvolgimento degli Stati Uniti in Libia, dove è in corso una guerra a poche miglia dalle coste italiane?

Mi aspetto un impegno maggiore da parte della nuova amministrazione americana per facilitare una soluzione del conflitto che divide questo paese così vicino e strategico per gli interessi italiani. Dobbiamo continuare a sostenere con forza il principio di non ingerenza e la necessità di attivare un processo costituzionale. Da questo punto di vista, mi pare interessante la circostanza che al centro dei negoziati intralibici vi siano in questo momento i vertici delle due assemblee parlamentari del Paese, l’Alto consiglio di Stato di Tripoli e la Camera dei rappresentanti di Tobruk. Se sarà utile, anche il Parlamento italiano è pronto a dare il suo supporto al processo in corso.

L’ambiente e il cambiamento climatico saranno priorità della nuova Casa Bianca. Su quali fronti l’Italia e l’Ue possono collaborare con gli Stati Uniti?

Questo è un ambito prioritario in cui più di ogni altro non c’è alternativa alla cooperazione globale e ad un impegno fermo e costante degli Stati Uniti. Questa crisi ci ha mostrato alcune fragilità del sistema attuale e credo che un approccio più convinto verso una progettazione all’insegna della sostenibilità sia il modo per superarle. La nuova adesione all’Accordo di Parigi, preannunciata da Biden, costituisce certo il primo passo nella direzione di una collaborazione nella lotta ai cambiamenti climatici. Ma resta molto da fare per dare concreta attuazione agli impegni contenuti nell’Accordo. In questo senso la prossima Cop 26 – organizzata congiuntamente da Regno Unito e Italia – costituirà un’occasione molto importante. Ed anche i parlamenti potranno dare un contributo decisivo attraverso un apposito incontro che, come Camere italiane, stiamo organizzando insieme al Parlamento britannico. Nel 2021 l’Italia avrà anche la presidenza del G20: è già stato annunciato che questo importante evento sarà ispirato al trinomio: people, planet, prosperity. L’orizzonte è quello di un nuovo modello di sviluppo centrato sulle persone e sulla sostenibilità ambientale. Ma per rendere questi obiettivi davvero condivisi da tutti, credo necessario aggiungere una quarta P, quella di parliaments. Sono infatti convinto che le assemblee elettive, rappresentative direttamente dei cittadini, siano indispensabili per promuovere politiche pubbliche orientate a garantire un futuro sostenibile e socialmente equo a livello globale. Il Parlamento italiano opererà per costruire anche su questo piano una dimensione di dibattito e confronto con gli altri parlamenti adeguata all’impegno che ci aspetta.

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