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Meglio Biden di Trump, ma l’Ue si svegli. Parla l’amb. O’Sullivan

Intervista con David O’Sullivan, ex ambasciatore Ue negli Usa. Con Biden ci sarà “un importante miglioramento” delle relazioni transatlantiche, dice. Ma il peso del Partito repubblicano e l’urgenza dell’agenda interna Usa impongono all’Europa di “avere maggiore capacità di agire autonomamente”. Sulla Brexit: “Il presidente sarà molto attento all’Irlanda del Nord” mentre sul Regno Unito “gli Usa perdono un alleato dentro l’Ue, coltiveranno altri rapporti, a partire da Macron”

“Quando parlo con i leader stranieri, dico loro: l’America sta tornando. Stiamo per tornare in gioco”. Così, via Twitter, il presidente eletto degli Stati Uniti Joe Biden ha commentato le prime telefonate avute con diversi leader, europei e non: dal premier canadese Justin Trudeau a quello britannico Boris Johnson, dalla cancelliera tedesca Angela Merkel al presidente francese Emmanuel Macron. Tra i primi ad aver parlato con Biden, che non si sottrae mai dal ricordare le sue origini irlandesi, anche Micheál Martin, il Taoiseach, cioè il capo del governo di Dublino.

Della nuova amministrazione statunitense Formiche.net ha parlato con David O’Sullivan, ex civil servant irlandese che ha ricoperto posizioni di vertice nell’Unione europea: è stato ambasciatore dell’Unione europea negli Stati Uniti dal 2014 al 2019 e prima, tra le altre cose, segretario generale della Commissione europea tra il 2000 e il 2005 durante il mandato dell’ex presidente del Consiglio italiano Romano Prodi. O’Sullivan a Washington è stato suo malgrado protagonista di uno dei punti più bassi delle relazioni tra Unione europea e Stati Uniti: nel settembre del 2018 l’amministrazione Trump declassò il rappresentante dell’Unione europea a una categoria inferiore, quella di inviato di organizzazione internazionale — salvo tornare sui suoi passi nel marzo dell’anno successivo e tornando a riconoscerlo “come equivalente a quella di una missione bilaterale nell’ordine di precedenza dei corpi diplomatici”.

Ambasciatore, è davvero l’inizio di una nuova era per le relazioni transatlantiche?

Ci sarà sicuramente un importante miglioramento rispetto alla situazione vissuta con il presidente Donald Trump. Dal giorno alla notte, davvero. Joe Biden è un transatlanticista tradizionale, è multilateralista, crede fortemente nella Nato e nell’Unione europea. Penso che tutto ciò sia estremamente positivo e offra grandi opportunità. Ma ci sono alcune cose da considerare.

Per esempio?

Per prima cosa, bisogna considerare che il Partito repubblicano ha conquistato seggi alla Camera (dove i dem conservano comunque ancora la maggioranza, ndr) e vedremo a gennaio se manterranno, come pare, il controllo del Senato. Per questo sarà molto difficile per il presidente Biden imporre la sua agenda. Inoltre, molto tempo e molte energie verranno investite per le questioni interne: credo che la presidenza Biden darà la massima priorità all’agenda interna.

Come giudicare le prime telefonate di Biden fatte con i leader europei?

Sono un segnale positivo dell’impegno del presidente, che ha utilizzato l’espressione “L’America è tornata”. Adesso il vero problema è cosa faremo noi europei. Abbiamo bisogno di un piano.

Da dove partire?

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha tenuto un importante discorso davanti agli ambasciatori dell’Unione europea in cui ha delineato gli elementi dell’agenda: dobbiamo fare progressi in materia di sicurezza e difesa, risolvere le questioni commerciali, parlare dello spazio digitale e della Cina. E, naturalmente, cooperare (con gli Stati Uniti, ndr) su aree come il cambiamento climatico, il nucleare iraniano, gli organismi internazionali come l’Oms e l’Omc. È un programma molto importante ma richiede che gli europei si facciano avanti e che su determinate questioni si assumano maggiori responsabilità che in passato.

Ma il ritrovato impegno statunitense non rischia di rappresentare la fine degli sforzi europei per raggiungere un’autonomia strategica?

Nient’affatto. Il partenariato transatlantico è il rapporto più importante al mondo per noi e sospetto anche per gli americani in termini di sicurezza e difesa, commercio e investimenti, e anche di valori. Ma l’America sta cambiando, queste elezioni hanno dimostrato che è profondamente divisa: è importante che ci sia un presidente più favorevole alla cooperazione internazionale di Trump, certo, ma il Partito repubblicano ha ottenuto molti voti e le posizioni del presidente uscente sono sostenute da 70 milioni di elettori americani. E questo influenzerebbe qualunque presidente.

Come può allora agire l’Unione europea?

Dobbiamo essere realistici su ciò che possiamo ottenere. Ma preservare e rafforzare le relazioni transatlantiche per il XXI secolo impone all’Europa di essere più forte, di avere una maggiore capacità di agire autonomamente. Anche se sempre in partnership con gli Stati Uniti.

Parliamo di Brexit. Che effetto può avere la presidenza Biden?

Sappiamo che era contrario, a differenza di Trump. Ma ormai il treno ha lasciato la stazione, il Regno Unito è uscito dall’Unione europea. Penso che per lui il punto di partenza sia lavorare a stretto contatto con l’Unione europea, di cui riconosce il valore. Certo, auspicherà le migliori relazioni possibili tra il Regno Unito e l’Unione europea ma negoziare spetta a noi: non credo che gli Stati Uniti saranno coinvolti.

E quanto all’Irlanda del Nord?

L’impatto della Brexit sull’Irlanda del Nord penso si rivelerà l’unica cosa su cui sarà molto vigile. Come molti altri politici americani, ha chiarito che si opporrà fermamente a qualsiasi sforzo del governo britannico per minare l’accordo del Venerdì Santo o per non rispettare l’accordo di recesso, e in particolare il protocollo allegato che riguarda l’Irlanda del Nord. Questo è un punto che non è stato citato nella nota di Downing Street (dopo la telefonata con Boris Johnson, ndr) ma compare in quella del presidente Biden.

Con la Brexit gli Stati Uniti perdono l’unico membro dell’alleanza Five Eyes all’interno dell’Unione europea. Che cosa cambierà?

Penso che l’establishment di Washington — con l’eccezione del presidente Trump — in generale non fosse soddisfatto della decisione del Regno Unito di lasciare l’Unione europea. Perché francamente il Regno Unito è più utile agli Stati Uniti dentro l’Unione europea, piuttosto che fuori. Ora il Regno Unito ha perso parte del suo valore come partner per gli Stati Uniti e penso che vedremo gli Stati Uniti coltivare i rapporti con altri leader in Europa, come Macron e Merkel. In sostanza, penso che gli sforzi americani per lavorare con l’Unione europea si sposteranno dal passare attraverso Londra al trattare direttamente con le altre capitali europee.

Questa dinamica di collaborazione con la Francia potrebbe avere un impatto anche sulla Turchia di Recep Tayyip Erdogan?

La mia impressione è che la gente a Washington sia piuttosto stufa del presidente Erdogan. L’acquisto di missili russi li ha davvero fatti infuriare. Il presidente turco non è molto apprezzato a Washington e credo che ciò si rifletterà nella politica della nuova amministrazione, che immagino sarà più critica nei suoi confronti. Ma naturalmente questo deve essere rapportato anche al fatto che la Turchia rimane uno dei membri più importanti della Nato e ha un ruolo di primo piano nella regione. Ci saranno sicuramente sforzi per provare a riportare le relazioni un po’ più in pista. Ma credo che il punto di partenza sia proprio l’insoddisfazione per le politiche attualmente perseguite dal presidente Erdogan.

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