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La Cina alla conquista del petrolio d’Africa. La mappa di Valori

Così nel tentativo di posizionarsi come attori globali nel mercato mondiale del petrolio e del gas, le compagnie cinesi stanno investendo nell’esplorazione e nella produzione di forniture di petrolio e gas in Africa. L’analisi di Giancarlo Elia Valori

Nel tentativo di posizionarsi come attori globali nel mercato mondiale del petrolio e del gas, le compagnie petrolifere nazionali della Repubblica Popolare della Cina stanno investendo notevolmente nell’esplorazione e nella produzione di forniture di petrolio e gas in Africa. L’Africa è la seconda regione più estesa nel fornire petrolio e gas al Pechino, dopo il Medio Oriente, con oltre il 25% del suo petrolio e gas totale importato.

Ci sono tre protagonisti chiave che impegnano una quota quasi uguale nella spesa prevista di 15 miliardi di dollari per lo sviluppo e la produzione nel settore petrolifero africano: China National Petroleum Corporation (Cnpc), China Petroleum&Chemical Corporation (Sinopec) e China National Offshore Oil (Cnooc). L’investimento congiunto è previsto per essere il quarto più alto nel periodo dal 2019 al 2023, dietro Bp Plc, Royal Dutch Shell Plc ed Eni. Tale investimento in petrolio e gas africani supera i 10 miliardi di dollari che la la Repubblica Popolare della Cina sta investendo in Sud America e più del doppio dell’investimento stimato verso il Nord America. Coa Chai, esperto della società GlobalData, afferma: “Circa due terzi della spesa è in Nigeria, Angola, Uganda e Mozambico. Sinopec e Cnooc sono ben consolidate in Nigeria e Angola, mentre Cnpc ha una partecipazione nel progetto Rovuma Lng in Mozambico”.

Inoltre Coa Chai ha affermato: “L’aumento della domanda interna di energia ha portato la Cina a diversificare le sue importazioni di risorse naturali e la presenza di Pechino si è accresciuta notevolmente in quasi 20 Paesi africani”. Uno dei maggiori partner commerciali della Repubblica Popolare della Cina, è il più grande produttore di petrolio africano, la Nigeria. La Nigeria attualmente pompa due milioni di barili di petrolio al giorno e ha l’obiettivo di produrre tre milioni b/g entro il 2023. Poiché la produzione nazionale di petrolio cinese continua a diminuire, gli esperti prevedono che nei prossimi 15 anni fino all’80% di greggio sarà importato.

Ci sono stati diversi investimenti degni di nota da parte della Cnooc, inclusa l’acquisizione di una quota di maggioranza in un progetto della compagnia australiana per l’esplorazione di giacimenti di petrolio e gas Far Ltd; essa sta perforando petrolio al largo della costa della Guinea-Bissau (Africa occidentale). Un portavoce di Far ha dichiarato che la Cnooc otterrà una partecipazione del 55,6% nelle licenze Sinapa ed Esperanca della svedese Svenska Petroleum Exploration Ab.

Il produttore cinese di petrolio può scegliere di diventare l’operatore della joint venture dopo il completamento di una prossima campagna di perforazione fuori costa. L’interesse della Cnooc verrà convertito in una quota del 50% in caso di fruttuose scoperte. In Nigeria, l’investimento e il coinvolgimento della Cnooc risale al 2005 e la società è ora la più grande entità investitrice cinese in Nigeria.

Nel 2006, la Cnooc ha speso 2,3 miliardi di dollari per acquisire una partecipazione del 45% nella licenza per acque profonde della compagnia nigeriana Oml 130, che si trova in uno dei bacini di petrolio e gas più prolifici del pianeta e contiene i giacimenti Akpo (scoperto nel 2000) ed Egina (scoperto nel 2003). La Nigerian National Petroleum Corporation (Nnpc) ha reso noto il suo sostegno agli investimenti cinesi in Nigeria, nonostante la regione abbia avuto notevoli problemi da parte delle popolazioni coinvolte. Questi includono sporadici focolai di violenza: alcuni i giovani hanno intrapreso azioni tra cui il furto, quale maniera per chiedere l’accesso alla ricchezza petrolifera del Paese. Inoltre, c’è stata una discutibile mancanza di trasparenza da parte della NNPC, che apparentemente non è stata in grado di dimostrare le sue entrate in miliardi di dollari negli ultimi anni.

Cercando di soddisfare la crescente domanda interna di carburante, Aliko Dangote (n. 1957) – l’africano più ricco e magnate nigeriano degli affari – sta costruendo quella che sarà la più grande raffineria di petrolio dell’Africa nell’ex capitale Lagos. Il megaprogetto da 9 miliardi di dollari dovrebbe essere completato entro la fine del 2020, raddoppiando la capacità di raffinazione della Nigeria e trasformando potenzialmente il Paese in un esportatore di prodotti raffinati.

In qualità di più grande produttore cinese di petrolio e gas in termini di rendimento e potenza sviluppata, la Cnpc ha recentemente firmato un contratto con il governo del Benin (Africa occidentale) per costruire e gestire un oleodotto di petrolio greggio nella regione. Esso si estenderebbe per 1.980 chilometri dal giacimento petrolifero Agadem in Niger al porto di Seme Terminal in Benin.

È il più grande investimento in un oleodotto transnazionale che Cnpc abbia realizzato in Africa e mira a consentire ulteriormente il trasporto di petrolio greggio dal Niger al mercato internazionale, oltre a promuovere lo sviluppo sociale ed economico in Benin. Oltre a queste grandi società che investono moltissimo per l’industria del petrolio e del gas, i cinesi stanno anche contribuendo alla crescita delle infrastrutture africane come un modo per avere un grande impatto economico e sociale. Un imprenditore degno di nota è Wilson Wu, un ingegnere elettrico, che ora gestisce la zona di libero scambio dello Stato nigeriano di Ogun: un progetto pubblico-privato in cui il governo locale fornisce la terra e l’impresa cinese il capitale. Si dice che Wu sia uno dei circa un milione di cittadini cinesi che si sono avventurati in Africa negli ultimi vent’anni per cercare fortuna.

Va sottolineato che la Repubblica Popolare della Cina aumenta la quota del petrolio del 20% per sfruttare i bassi prezzi del petrolio. Ed infatti in un contesto di calo della domanda e segnali di crescente offerta, il più grande acquirente di petrolio del mondo ha aumentato la quota per l’utilizzo di greggio all’estero da parte di entità non statali per il 2021 di oltre il 20% rispetto al 2020, secondo un annuncio del ministero del Commercio cinese.

L’aumento della quota di importazione è equivalente a circa 823 mila barili al giorno, che è leggermente inferiore alla quantità che pompa l’Algeria, membro dell’Opec. Le aziende che utilizzeranno il petrolio includono raffinerie private, note come “teiere”, le quali negli ultimi anni sono diventate sempre più importanti nel mercato petrolifero globale. Quelle aziende gestiscono i loro impianti a un tasso di utilizzo più elevato rispetto al 2019 già da molti mesi, mentre le loro controparti negli USA e in Europa sono in ritardo.

L’aumento segnala che gli acquisti di petrolio dell’Impero di Mezzo saranno ancora più forti in un momento in cui la domanda globale deve affrontare nuovi venti contrari che giungono da ulteriori restrizioni e blocchi, mentre le infezioni da Covid-19 si diffondono di nuovo in Europa e negli Usa. Il peggioramento delle prospettive della domanda insieme a una nuova offerta in Libia hanno pesato sui prezzi di riferimento, facendo scendere il 26 ottobre 2020 il West Texas Intermediate fino al 6%. Alle 7:29 ora locale di New York, il greggio era inferiore del 2,4% a 34,93 dollari al barile.

Dietro la spinta alle importazioni c’è l’ambiziosa espansione della capacità della Repubblica Popolare della Cina. La nuovissima e mega raffineria del Paese, la Zhejiang Petrochemical, ha avviato il 1° novembre scorso una delle sue nuove unità di distillazione del greggio da 200 mila barili al giorno. Un’altra raffineria cinese indipendente, la Shenghong Petrochemical Group, sta lavorando alla costruzione della più grande unità di greggio del Paese, che dovrebbe essere avviata entro la fine del 2021.

I commercianti di petrolio acquistano carichi dall’inizio dell’ottobre 2020 e li inviano verso la Repubblica della Cina, sperando di capitalizzare su un previsto aumento della domanda alla fine dell’anno, quando le raffinerie indipendenti otterranno le licenze di importazione per il 2021. Pechino ha fissato le quote di importazione del greggio per le società non statali a 243 milioni di tonnellate, secondo la dichiarazione del ministero. Ciò equivale a 4,9 milioni di barili al giorno, secondo i dati raccolti da Bloomberg. La Repubblica Popolare della Cina ha mantenuto invariata la quota annuale a 202 milioni di tonnellate per quest’anno, dopo uno straordinario aumento di oltre un milione di barili al giorno per il 2019 rispetto all’anno precedente.

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