Quattordici Paesi, che rappresentano un terzo dell’attività economica globale, hanno firmato l’intesa per il libero scambio con Pechino. Sfide e (possibili) aperture
La Cina è la principale firmataria dell’Associazione Economica Integrale Regionale (Rcep), considerato il più grande trattato di libero commercio del mondo.
La firma dell’accordo tra i Paesi dell’Asia-Pacifico è avvenuta oggi in teleconferenza, a causa della pandemia Covid, e conclude con un finale positivo un periodo di negoziazione durato otto anni. Secondo l’agenzia Efe, l’accordo rappresenta un terzo dell’economia mondiale, con un Pil combinato di circa 26,2 trillioni di dollari nella regione con il più alto indice di crescita globale.
Il Regional Comprehensive Economic Partnership è stato siglato a margine del vertice annuale dell’Associazione delle 10 nazioni del sud-est asiatico (Asean), della quale formano parte Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda, lasciando però fuori gli Stati Uniti. Resta ancora aperta la possibilità di ingresso all’India, che si è ritirata durante i negoziati.
L’accordo arriva in un momento storico dettato dalla pandemia e contribuisce all’ulteriore crescita di un mercato già prospero come quello del sud-est asiatico.
Gli investimenti e flussi commerciali all’interno del continente asiatico sono aumentati notevolmente negli ultimi 10 anni, ma si sono rallentati a causa delle tensioni tra Washington e Pechino e la disputa per i dazi.
L’accordo quindi è un gran successo per il governo cinese, perché presenta Pechino come leader della globalizzazione e della cooperazione multilaterale. Il premier Li Keqiang, citato dall’agenzia cinese Xinhua, considera l’accordo raggiunto oggi una vittoria contro il protezionismo: “La firma del Rcep non è solo una pietra miliare della cooperazione regionale dell’Asia orientale, ma anche una vittoria del multilateralismo e del libero scambio”.
Per i più critici l’iniziativa potrebbe promuovere una rischiosa ondata di delocalizzazione del settore manifatturiero.
Resta però il fatto che il Rcep è abbastanza ampio da adattarsi alle esigenze molto diversi di paesi come Myanmar, Singapore, Vietnam e Australia. A differenza del Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership e dell’Unione europea, l’accordo di oggi “non stabilisce standard unificati in materia di lavoro e ambiente né impegna i paesi ad aprire servizi e altre aree vulnerabili delle loro economie”. Definisce invece le normative per lo scambio commerciale che potranno facilitare gli investimenti e altre attività nella regione.
Jeffrey Wilson, direttore della ricerca del Perth USAsia Center ha spiegato in un rapporto per l’Asia Society ripreso dall’agenzia La Presse che “Rcep è una piattaforma tanto necessaria per il recupero post-Covid dell’Indo-Pacifico”. Beneficeranno altresì di quest’intesa le economie di Cambogia, Indonesia, Laos, Myanmar, Filippine, Thailandia, Brunei, Singapore, Malesia e Vietnam.