Tempo di ripensare un modello finanziario per l’Europa e non solo. Giulio Sapelli, storico ed economista, spiega perché l’ordoliberismo dilagante è alla base della disgregazione sociale occidentale e crea un terreno fertile per l’avanzata (tech) cinese
Karl Polanyi definì “la pace dei cento anni” quel lasso di tempo che va dal 1815 al 1914, in cui la pace in Europa fu garantita dagli eserciti della “Santa alleanza” dopo la sconfitta di Napoleone. Maurice Lévy-Leboyer nel suo indimenticabile libro del 1964, definì per primo come haute finance quella forza internazionale che per Polanyi aveva garantito quella pace. Si trattava di una forza redistributiva, privata e pubblica, che da un lato determinava l’equilibrio di potere delle nazioni – ché nessuna di esse si fidava dell’altra e c’era il bisogno di una stanza di compensazione del potere – e dall’altro forniva i mezzi finanziari per costruire una relativa pace sociale su cui si ergerà il primo esperimento del welfare bismarckiano e delle prime assicurazioni sociali (l’italiana Ina ne fu preclaro esempio nell’età giolittiana): ecco il concerto europeo che dalla guerra francoprussiana in poi determinò un equilibrio di potere che nessuno sfidò sino alla Prima guerra mondiale.
IL SECOLO D’ORO
Dal 1815 al 1914 le grandi potenze europee subirono e provocarono solo diciotto mesi complessivi di guerra (la principale è quella terribile tra Prussia e Francia che durò un solo anno), mentre in tutti i secoli precedenti più di metà era trascorso nella guerra. Questa sorta di miracolo era stato reso possibile per Polanyi dall’affermarsi contemporaneo di quattro istituzioni: il sistema di equilibrio dei poteri tra Francia, Germania unificata e Regno Unito; la base aurea internazionale (governata da potenti forze sociali e da istituzioni dedicate); il mercato capitalistico nascente; lo Stato liberale. Esisteva un legame organico tra l’organizzazione politica e quella economica del mondo: essa forniva gli strumenti per il debito pubblico, disciplinava gli Stati, lavorava di concerto con essi e, quando sorsero, si legò alle banche centrali nazionali senza tuttavia dipenderne. L’alta finanza era una sorta di agente sovrano che godeva della fiducia degli Stati nazionali e degli investitori internazionali: in questo modo si poteva sempre rigenerare, in caso di crisi, un meccanismo di regolazione tra l’economia e la politica, perché l’omeostasi era un prodotto sociale, non generato artificialmente. Le forze di potenza nazionali costituivano, con la loro entente cordiale, l’equilibrio di queste istituzioni internazionali naturali e funzionali e impedivano l’entropia del sistema.
IL RISCHIO DELL’ENTROPIA FINANZIARIA
La finanza internazionale di oggi è, invece, completamente autoregolantesi con infrastrutture sovranazionali come sono le tecnocrazie del Fondo monetario o dell’Ocse o dell’Ue con la Bce. Non a caso l’entropia è ciò che nel tempo presente serpeggia nel mondo. In Europa il sistema a cambi fissi tramite una moneta unica agisce senza unità politica, senza sistemi fiscali integrati, senza sistemi di welfare concordati, con la deregolazione finanziaria e una iperregolazione bancaria che gioca contro gli Stati con la speculazione sul debito piuttosto che, invece, lavorare come un tempo alla sua integrazione con gli Stati e le loro classi politiche. Di qui il risorgere dello spirito di potenza chiamato barbaramente sovranismo, neonazionalismo e via dicendo, a riprova dell’incultura e dell’ignoranza in cui il mondo dei pubblicati e dei pubblicandi è sprofondato.
LA DEFLAZIONE SECOLARE
La grande finanza descritta da Polanyi lavorava, invece, per la pace tra le grandi potenze perché i suoi investimenti di lungo corso si fondavano sulla stabilità, monetaria e politica, in modo tutt’affatto diverso da ciò che oggi accade. L’ordoliberismo si fonda sul principio inverso della pace polanyana: l’elaborazione automatica e algoritmica del debito con la crescente disintegrazione delle forze sociali e delle forme politiche che si erano formate sulla base dei bisogni nazionali dei popoli. Esse sono state sostituite, invece, dalle regole che funzionano solo nei casi tedeschi, olandesi e scandinavi e che sono storicamente inapplicabili nella parte dell’Europa continentale francese e italica e del sud. Di contro, la finanza nordamericana agisce in un sistema di common law e dispone di banche centrali negli Usa e in ciò che rimane del Commonwealth e può, quindi, agire sia come prestatore in ultima istanza sia ricorrere al moltiplicatore keynesiano in forma diretta sino al correntista e recentemente iniziare a sottrarsi al modello dell’inflation targeting deflattivo, iniziando a comprendere che solo la fuoriuscita della deflazione secolare à la Hansen può sottrarre il meccanismo della finanza all’entropia.
LO SCIVOLO VERSO PECHINO
Così non sarà, essa continuerà a dilagare dall’Europa sino al Pacifico e consegnerà definitivamente il mondo alla dittatura cinese governata dall’intelligenza artificiale costituitasi come nuovo Gosplan di memoria sovietica. Ciò che è successo a una banca come Hsbc ben rappresenta questo destino possibile, una sorta di inquietante sineddoche. L’Italia, alla prossima riunione del G20, dovrebbe sollevare un dibattito su queste questioni. L’eccezionalità dei tempi presenti lo giustifica. Tale dibattito sarebbe ricco di riferimenti storiografici e concettuali e si potrebbe così a iniziare a contribuire a liberare il mondo da catene che non sono solo pandemiche. È forse chiedere troppo?