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Covid-19 e non solo… A che punto è la censura cinese?

Zhang Zhan è una blogger che rischia 5 anni di carcere. Un tribunale di Shanghai la processerà per le informazioni pubblicate sui social network riguardo il Covid a Wuhan a inizio anno. Ma la giovane non è un caso isolato in Cina

Una nuova voce è silenziata da Pechino. Zhang Zhan è una giovane blogger cinese. Con un background in diritto, ha cercato di informare sul primo focolaio di Covid-19 nella città di Wuhan usando le piattaforme di WeChat, Twitter e YouTube. E Pechino non perdona: ora rischia cinque anni di carcere con l’accusa di avere diffuso “notizie false” e di avere creato alcuni problemi alla Cina.

Zhan è in carcere da mesi. Il Chinese Human Rights Defenders (Chrd) ha confermato che un tribunale di Shanghai processerà la blogger per le informazioni pubblicate sui social network riguardo il Covid a Wuhan a inizio anno.

Il Chrd ha affermato che la donna avrebbe denunciato la consegna di cibo avariato ai residenti di Wuhan nelle 11 settimane di lockdown, nonché l’obbligo di pagare tasse per potere farsi i test del virus.

L’Ong ha anche informato dell’arresto di altri giornalisti e dell’intimidazione nei confronti dei famigliari delle vittime della pandemia, che avevano accusato le autorità di essere state responsabili del mancato contenimento della pandemia.

Ma Zhan non è l’unica vittima della repressione cinese contro la libertà di espressione. Sarebbero almeno tre i giornalisti scomparsi a febbraio per lo stesso motivo. Li Zehua è riapparso ad aprile dicendo che era stato costretto all’isolamento; Chen Qiushi sarebbe sottoposto al controllo del governo, mentre di Fang Bin non si sa ancora nulla.

Secondo Wu Qiang, analista politico citato dal sito South China Morning Post, durante i mesi più duri della pandemia il governo cinese ha cercato di contenere il flusso di informazioni attraverso i media tradizionali e i social network.

Tuttavia, il Covid-19 non è l’unico dossier sensibile per la Cina. La decisione di imporre una nuova legge sulla sicurezza nazionale, ai danni della libertà di espressione e i diritti civili, ha provocato la condanna da parte del cosiddetto gruppo “Five Eyes”, l’alleanza strategica tra Canada, Gran Bretagna, Nuova Zelanda e Regno Unito e Stati Uniti.

Il gruppo ha accusato Pechino di avere orchestrato una campagna per silenziare le voci critiche del regime a Hong Kong, violando il diritto internazionale. Come ricorda l’agenzia Nova, “tali obblighi derivano dall’accordo siglato negli anni ‘80 e concretizzatosi nel 1997 con il Regno Unito circa i termini della restituzione di Hong Kong da parte di quest’ultimo alla Cina”.

I ministri degli Esteri dei Paesi alleati hanno chiesto al governo di Pechino di riammettere i membri eletti del Parlamento di Hong Kong, arbitrariamente espulsi a causa della nuova legge. Per ora l’avvertimento è diplomatico, ma non sono escluse sanzioni economiche per aumentare la pressione.

Mike Pompeo, Segretario di Stato americano, insieme ai ministri degli Esteri dei “Five Eyes”, ha espresso preoccupazione per la decisione di Pechino: “A seguito dell’imposizione della legge sulla sicurezza nazionale e del rinvio delle elezioni del Consiglio legislativo di settembre, questa decisione compromette ulteriormente l’elevato grado di autonomia e di diritti e libertà di Hong Kong”.

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