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Stretta Ue all’export di cybersorveglianza. Cina avvisata

L’Ue impone misure restrittive sull’export verso i regimi di strumenti per la cybersorveglianza. Cina (ma non solo) nel mirino. “Un passo avanti per l’aggiornamento di un settore tanto delicato per i diritti quanto in fortissima espansione sotto l’aspetto economico”, spiega l’avvocato Mele

Il cosiddetto “quinto dominio”, cioè l’arena cibernetica, presenta dinamiche molto simili a quelle delle guerre convenzionali. E così, come spesso si levano richieste per limitare l’export di armi verso i regimi (il caso più recente riguarda la Turchia) qualcosa di non troppo diverso accade nell’universo cyber. Grande preoccupazione hanno suscitato negli ultimi anni le cosiddette tecnologie dual-use (impiegate cioè sia in ambito civile sia in quello militare) per la cybersorveglianza. A settembre Amnesty International aveva pubblicato un rapporto in cui denunciava come tre aziende europee con sede in Francia, Svezia e Paesi Bassi avesse venduto sistemi di sorveglianza ad agenzie di sicurezza cinesi coinvolte nelle violazioni dei diritti umani. Le telecamere a circuito chiuso, i sistemi per il riconoscimento facciale e per le analisi delle emozioni prodotti dalle aziende sono usati in Cina per controllare i cittadini e reprimere le minoranze etniche: il caso più noto è quello che riguarda gli i musulmani uiguri nella regione dello Xinjiang.

LA SVOLTA UE

Nella giornata di lunedì il Parlamento europeo e il Consiglio europeo hanno recepito le preoccupazioni di organizzazioni non governative ma non soltanto, trovando l’intesa su un pacchetto di limitazioni alle esportazioni di tecnologie dual-use per la cybersorveglianza verso i regimi totalitari extra europei. La decisione finale sull’adozione delle misure spetterà agli Stati membri e su questo punto la MIT Technology Review ha registrato un po’ di scetticismo tra chi si occupa di diritti umani.

LE NUOVE MISURE

Le nuove regole dovrebbero includere anche computer ad alte prestazioni, droni e alcuni prodotti chimici e prevedono che le aziende europee dovranno richiedere licenze governative per esportare determinati prodotti. Inoltre, dovranno soddisfare criteri rafforzati delle ultime misure per tutelare i diritti umani. Ai Paesi membri dell’Unione europea è invece richiesta maggior trasparenza con un impegno a divulgare i dettagli sulle licenze di esportazione concesse. Inoltre, è previsto che le misure possano cambiate rapidamente in modo tale da coprire tecnologie emergenti.

GLI SFORZI DI BERLINO

I negoziati sono durati quattro anni per via delle resistenza della Germania, che produce più della metà dell’export di tecnologie dual-use. Ma ora è proprio la Germania — presidente di turno del Consiglio dell’Unione europea e sempre più in prima linea nel confronto tra i 27 e la Cina (in attesa dell’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca) — a festeggiare le nuove misure dopo aver cercato l’approvazione prima della scadenza del suo semestre. Il ministro dell’Economia Peter Altmaeier ha spiegato che “le nuove regole raggiungono il giusto equilibrio tra il rafforzamento della competitività dell’Unione europea, la garanzia dei nostri interessi e la promozione dei diritti umani”.

UN MODELLO DA ESPORTARE

Di “vittoria per i diritti umani a livello globale” ha parlato Markéta Gregorová, membro del Parlamento europeo eletta nelle fila del Partito pirata ceco. “Abbiamo stabilito un importante precedente affinché altre democrazie seguano l’esempio”, ha aggiunto. I regimi autoritari del mondo non saranno più in grado di mettere segretamente le mani sulla cybersorveglianza europea”. Come dimostrano le parole dell’eurodeputata, la Cina è uno degli obiettivi, ma non è l’unico. Infatti, tecnologia europea è stata utilizzata dai regimi autoritari durante le Primavere arabe e i flussi non si sono certo fermati negli ultimi tempi.

IL COMMENTO DI MELE

“Sicuramente è un passo avanti per l’aggiornamento di un settore tanto delicato per i diritti e le libertà dei cittadini quanto in fortissima espansione sotto l’aspetto economico”, spiega Stefano Mele, partner dello studio legale Carnelutti, a Formiche.net. “La mossa dell’Unione europea è da accogliere, dunque, con grande favore perché da un lato regolamenta l’utilizzo scorretto che alcune nazioni fanno di questi strumenti, dall’altro garantisce regole certe a un mercato in grande espansione in virtù della necessità per le agenzie di intelligence e per le forze dell’ordine di avvalersi di tali strumenti, entro i casi previsti della legge, per le loro attività di indagine”.

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