Forse Joe Biden non parla con Donald Trump, ma parla (e si intende) con buona parte dei leader europei, da Merkel a Macron, persino il trumpiano Johnson. Tra i repubblicani qualcuno medita un passo indietro. Il punto di Giampiero Gramaglia
“Il rifiuto di Trump di concedere la vittoria è imbarazzante, è un imbarazzo per l’intero Paese”: dice Joe Biden parlando dal suo quartier generale elettorale di Wilmington, in Delaware, meno di un’ora di treno da Washington. Ma, aggiunge: “Il rifiuto di Trump non ha molte conseguenze. Sulla strada della transizione, possiamo andare avanti senza fondi e senza briefing … Non vedo ora la necessità di azioni legali per assicurare una transizione fluida… La stiamo iniziando, è già in corso… Nulla ci può fermare…”. E, rivolgendosi direttamente al presidente in carica, il presidente eletto sbotta: “Signor presidente, non vedo l’ora di parlare con lei”.
I due, a una settimana dall’Election Day, non si sono ancora sentiti e non hanno avuto contatti, mentre, quattro anni or sono, il 10 novembre, Barack Obama, meno di 48 ore dopo l’Election Day, aveva già ricevuto Trump alla Casa Bianca – un incontro gelido fra due uomini che non si stimano, ma istituzionalmente corretto – e l’allora vice-presidente Biden guidava il suo collega eletto Mike Pence nel cominciare ad esplorare “le arcane stanze” del potere Usa.
Per tutta risposta, Trump twitta: “La gente non accetterà queste elezioni truccate”, lanciando post sui presunti brogli in diversi Stati e confermando di fatto di non voler ammettere la sconfitta. Gli presta manforte uno dei suoi fedelissimi, il segretario di Stato Mike Pompeo: le azioni legali contro i risultati elettorali finora acquisiti sono “appropriate”. “Ci sarà una transizione calma – Pompeo fa una battuta – verso una seconda Amministrazione Trump”. Gli replica la vice-presidente eletta Kamala Harris: “Biden ha nettamente vinto le elezioni”.
In effetti, il calcolo dei Grandi Elettori è al momento di 306 per Biden e 232 per Trump – la soglia per vincere è 270. Alla Camera, i democratici restano maggioranza, pur perdendo cinque/sei seggi: 218 su 435 quelli già attribuiti loro contro 204 ai repubblicani, con una dozzina in bilico. Al Senato, dopo la conferma del repubblicano Thom Tillis in North Carolina ufficiale da ieri, i repubblicani perdono un seggio, ma possono ancora conservare la maggioranza vincendo uno dei due ballottaggi in Georgia il 5 gennaio (50 a 48 l’attuale ripartizione dei seggi).
In prospettiva, la campagna di Biden non esclude azioni legali contro l’Amministrazione Trump, che ostacola il processo di transizione: si valutano “diverse opzioni”. Il team della transizione s’è intanto insediato e s’è riunito: c’è la vedova del senatore repubblicano John McCain, Cindy McCain – non è l’unica repubblicana: c’è pure Bob McDonald, imprenditore e già segretario ai Reduci. “Mio marito sarebbe molto contento della vittoria” di Biden, dice Cindy alla Cnn. “L’ho appoggiato perché si è impegnato a riunificare il Paese”.
I colloqui di Biden con i leader stranieri
Se non parla con Trump, Biden parla con i leader stranieri, a cominciare dagli alleati europei: ieri, ha chiamato il presidente francese Emmanuel Macron, la cancelliera tedesca Angela Merkel e pure il premier britannico Boris Johnson, rapidamente migrato dall’area dei ‘trumpiani di ferro’ a quella degli ‘amici dell’America’ quale ne sia il presidente.
“Il mio messaggio ai leader stranieri è solo uno: l’America sta tornando”, spiega Biden, sintetizzando i colloqui: “Siamo di nuovo in gioco”, parte della comunità internazionale e non ‘cavaliere solitario’ in un Far West planetario dove dettano legge le pistole del potere economico e militare.
Coronavirus e Obamacare
La priorità interna resta, però, l’epidemia di coronavirus, che ogni giorno batte un record negli stati Uniti: dei contagi giornalieri, dei contagi settimanali, del numero dei malati di Covid in ospedale: secondo il Covid Tracking Project, che ne tiene il conto, il numero dei degenti è più che raddoppiato da settembre a novembre e il 10 novembre ha superato il livello record del 15 aprile, quando i ricoverati erano 59.940, con 61.964.
Secondo i dati della John’s Hopkins University, il numero dei contagi, alla mezzanotte di ieri sulla East Coast, superava i 10.256.000 e quello dei decessi s’apprestava a superare i 240 mila.
Fronte sanitario, la buona notizia è che l’Obamacare sembra potere sopravvivere al giudizio della Corte Suprema: nell’udienza di ieri, il presidente John Roberts e il giudice Brett Kavanaugh, uno dei tre nominati da Trump, hanno espresso seri dubbi sulla possibilità di abolire la riforma di Obama, come chiesto da un gruppo di Stati repubblicani guidati dal Texas e appoggiati dall’Amministrazione Trump. I due giudici, entrambi conservatori, si sono mostrati scettici di fronte all’ipotesi di revoca, anche se una delle norme dovesse risultare incostituzionale. La decisione della Corte Suprema non sarà presa prima del giugno 2021.
Biden chiosa così le notizie dalla Corte Suprema: “La sanità non è tema di parte, ma i repubblicani l’hanno ideologizzato, col rischio di strappare la copertura sanitaria a milioni e milioni di americani … L’Obamacare ha salvato molte vite umane e ha salvato milioni di famiglie dalla rovina…”. Uno dei suoi primi obiettivi, una volta insediato alla Casa Bianca, sarà estendere e migliorare la riforma.
Le teste che rotolano
Il magnate presidente continua a tagliare teste nella sua Amministrazione Dopo il licenziamento del segretario alla difesa Mark Esper, si è dimesso James Anderson, un suo vice, non è chiaro se volontariamente o su richiesta della Casa Bianca.
Trump ha pure rimosso il capo del programma federale che fa rapporto sul cambiamento climatico, Michael Kuperberg. Il posto di direttore esecutivo del U.S. Global Change Research Program, che produce il National Climate Assessment, sarà preso da Betsy Weatherhead.
La rimozione di Kuperberg segue l’ingresso nel team dell’amministrazione Trump di David Legates, dell’Università del Delaware, che sostiene che “il diossido di carbonio è un alimento vegetale, non una sostanza inquinante”.
Lato inchieste sui brogli elettorali, s’è appreso che uno degli asseriti testimoni dei presunti brogli, un addetto alle poste, interrogato da agenti dell’Fbi, ha ieri ammesso di essersi inventato tutto.