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La destra e il patto per le elezioni. La versione di Rotondi

Visibilmente felici che la patata bollente sia in mani altrui, i capi della destra hanno partorito l’uovo di Colombo del dialogo “a patto che si torni al voto a primavera”. Niente è più fuori della realtà. Il commento di Gianfranco Rotondi

Di fronte a un’emergenza il riflesso condizionato della coscienza pubblica suggerisce la solidarietà nazionale. Che non è una formula politica, ma uno stato d’animo collettivo a cui la classe politica fa bene a uniformarsi. Chi se ne dissocia, paga pegno elettorale. Con l’avvertenza che nelle emergenze il popolo guarda principalmente a chi decide, dunque a chi comanda, a chi è in carica: tranne errori clamorosi, la carica dà una rendita di posizione, come recentemente hanno dimostrato De Luca, Toti, Zaia.

Nelle emergenze il mestiere dell’opposizione è difficile, richiede menti addestrate all’arte della politica piuttosto che della propaganda. E pure la propaganda va in crisi: in una pandemia, ad esempio, la gente vuole tutto e il suo contrario, ed è difficile pure sparare sciocchezze per stare nel vento dei desideri popolari.

La destra italiana ha gestito la pandemia con la stessa sciatteria del governo: per tutta l’estate ha invocato il “liberi tutti”, sposando le tesi negazioniste, con punte dannunziane come il rifiuto estetico ed eroico della mascherina praticato finanche dal “leader maximo” dello schieramento. Risultato: adesso non può manco giocarsi la carta facile di rinfacciare al governo che aveva sottovalutato la seconda ondata. Solo Berlusconi può farlo e lo fa, ma i suoi numeri elettorali sono residuali è ormai non danno più il dna all’opposizione italiana.

La destra è nell’angolo. Ha davanti due anni e mezzo di traversata nel deserto. E nel frattempo non sa che fare. Di fronte all’appello di Mattarella all’unita, avrebbe potuto rispondere: subito, ma con un altro governo. Di fronte all’invito di Conte al dialogo, avrebbe potuto rialzare dicendo: pronti, ma vogliamo responsabilità e intanto tu dimettiti.

Niente di tutto ciò: visibilmente felici che la patata bollente sia in mani altrui, i capi della destra hanno partorito l’uovo di Colombo del dialogo “a patto che si torni al voto a primavera”. Niente è più fuori della realtà: la pandemia detta tempi e agenda ,e ne ha fino all’estate inoltrata, ben che vada. Votare prima? Impossibile, manca persino la legge elettorale. A luglio scatta il semestre bianco, e la destra si infila giuliva nel superponte che porterà la legislatura a compimento.

Cosa troverà in fondo alla traversata? Se Conte regge la sfida pandemica, lui entrerà in campagna elettorale a vele spiegate e raccoglierà la vittoria nelle forme che preferirà, con una sua lista o a capo di una coalizione larghissima come quella di Vincenzo De Luca in Campania.

La destra scommette sul fallimento di Conte. Peggio ancora: l’insuccesso del governo trascinerebbe l’Italia in una guerra civile o quantomeno in una resa dei conti finale tra il popolo e la classe dirigente, senza nessuna distinzione possibile tra chi ha governato e chi si è tenuto le mani in tasca sperando di trarne vantaggio.


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