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La destra alla ricerca di identità (con vista Palazzo Chigi)

La destra italiana è in una situazione che le impedisce di toccare palla. Non essersi ancora complimentati con Joe Biden è un errore. Berlusconi? Una risorsa, ma qualcuno leggerà la sua intraprendenza alla luce dell’impegno odierno del governo a fermare “scalate ostili” su Mediaset. La bussola di Corrado Ocone

Che in Italia esistano, da almeno un paio di anni a questa parte, “due destre”, per semplificare, è risaputo. Le si è dette, sempre semplificando (e anche banalizzando): destra, o centrodestra, liberale o moderato; e destra “sovranista”.

Si è fatta rientrare nella prima categoria la forza storica del centrodestra italiano, cioè la Forza Italia di Silvio Berlusconi; e nella seconda due partiti in rapida ascesa intorno alle figure dei loro leader: la Lega di Matteo Salvini, molto diversa dalla storica di Umberto Bossi di cui ha però ereditato una parte rilevante della base e dell’organizzazione; e i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, che correggendo e integrando le precedenti esperienze postmissine si sono dati l’immagine sempre più di un moderno partito conservatore, stringendo anche solidi legami con il conservatorismo internazionale.

Approfittando dell’onda mondiale “sovranista”, Forza Italia, pur forte di un consistente gruppo parlamentare, si è vista negli ultimi due anni ridurre ad un ruolo sempre più residuale, schiacciata dalle forze emergenti alla sua destra. Le quali hanno, fino a un certo punto, imposto la loro narrazione in maniera quasi esclusiva. Una narrazione, in verità, per lo più “reattiva”: giustificata in un certo momento storico, ma costitutivamente sprovvista di una solida cultura politica. È inutile negare che la partita si sia giocata, non so con quanta consapevolezza da parte dei nostri “sovranisti”, a Bruxelles (e forse anche a Washington) oltre che a Roma, e che, soprattutto dopo l’insediamento della Commissione Von der Layen e la nascita del secondo governo di Giuseppe Conte in Italia, sia iniziata una lenta crisi, culturale e soprattutto politica anche se non del tutto di consensi, in particolar modo in seno alla Lega di Salvini, la cui ascesa era sembrata a un certo punto rapida e inarrestabile.

L’impressione che si è avuta, efficacemente sintetizzata su queste colonne da Roberto Arditti, è che la destra è forte nelle urne ma “continua a capirci poco del reale funzionamento del potere”. Comunque sia, si è arrivati alla situazione attuale. Ove, complice la fine, a livello simbolico (che però in politica è importantissimo), dell’onda ( o “prima ondata”) “sovranista”, si è capito che la destra italiana attuale è in una situazione che le impedisce di toccare palla, e di aspirare legittimamente a governare in nome se non altro della maggioranza degli italiani a cui è inviso l’attuale governo. E lo è prima di tutto per lo sbilanciamento e l’asimmetria creatosi fra le due “destre”, che ha impedito anche una articolazione più efficace dell’azione politica. Anche e soprattutto nei confronti dell’Unione Europea, verso la quale, se si deve rifuggire dallo stupido eurolirismo, altrettanto lo deve dall’euroscetticismo. Ove, l’adesione all’europeismo, seppur con più consapevolezza forte del nostro interesse nazionale, deve essere tutt’uno con un atlantismo senza se e senza ma.

Qui, inutile negarlo, tutti gli occhi sono puntati sulla Lega, la quale su questo fronte più ha da farsi “perdonare” ma la quale è pure un partito pragmatico e postideologico e con un’ampia base legata a quei valori occidentali su cui non sempre la barra è stata tenuta ferma. Quanto a Silvio Berlusconi, di nuovo politicamente attivo negli ultimi tempi, egli non può che rappresentare una risorsa. Certo, qualcuno leggerà l’intraprendenza del Cavaliere alla luce dell’impegno odierno del governo a fermare “scalate ostili” su Mediaset. E penserà a una sorta di “voto di scambio” con Conte. Può anche darsi, ma politicamente la questione non si sposta di molto. Il Cavaliere alla fine è venuto a rappresentare nel Partito Popolare in modo egregio proprio quei valori “liberali” e conservatori, non radicali e astrattamente contrappositivi (il vecchio Scruton diceva che nulla è più lontano del conservatorismo che la politica intesa “alla maniera di Saint Just e Lenin”) di cui ora, in questa fase storica, la destra (forse non solo italiana) ha bisogno per opporsi con efficacia ai nuovi poteri e soprattutto a quello del “pensiero conforme (e della connessa azione politica).

Non essersi ancora complimentati con Joe Biden è un errore politico: sia perché ci si allinea in questo modo di fatto ai nemici degli Stati Uniti; sia perché si dà mostra di non distinguere gli Stati Uniti da chi li rappresenta momentaneamente. Forse riprendere in mano l’abc della cultura politica, per la destra (ma è un problema forse anche e soprattutto della sinistra), sarebbe ora essenziale.

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