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Difesa europea e asse franco-tedesco. Le opzioni per l’Italia secondo lo IAI

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Disimpegno Usa dal Mediterraneo, asse franco-tedesco sulla Difesa europea e una Nato alle prese con la sua riflessione interna. Cosa può fare l’Italia per i propri interessi? Le risposte dell’Istituto affari internazionali nel nuovo studio dedicato alla Difesa dell’Ue nel “disordine globale”

Se è la propulsione franco-tedesca a guidare la Difesa europea, perché non aderirvi, magari cercando di orientarla verso una maggiore sinergia con la Nato e gli Stati Uniti? È il suggerimento per l’Italia nel “nuovo disordine globale” che arriva dall’Istituto affari internazionali (Iai), attraverso un nuovo studio a cura di Alessandro Marrone ed Ester Sabatino: “Europe of defence in the new world (dis)order: choices for Italy”.

QUALE AUTONOMIA STRATEGICA?

Ad animare il dibattito c’è il concetto di “autonomia strategica” dell’Unione europea, sancito nella Strategia globale dell’Ue del 2016, e finito recentemente in uno scambio autorevole tra il presidente francese Emmanuel Macron e la ministra tedesca Annegret Kramp-Karrenbauer. Ma perché all’Ue serve autonomia strategica. Prima di tutto, spiega lo studio Iai, “la necessità di autonomia strategica è proporzionale alla divergenza di interessi tra l’Ue e i suoi partner strategici e alleati, vale a dire la Nato e gli Stati Uniti”. Di fondo, la convinzione di un parziale disimpegno di Washington da “aree di interesse strategico per l’Europa”. Poi c’è il fattore tecnologico: “l’impiego in costante aumento di sistemi high-tech e il crescente carattere ibrido delle minacce implicano una costante revisione e riconsiderazione delle strategie e degli strumenti da impiegare per contrastarle, pur avendo sempre uno sguardo alle sfide più convenzionali”.

COSA MANCA ALL’UE

Per tutto questo l’Ue non sembra ancora pronta. Manca “una cultura strategica comune”, spiegano Marrone e Sabatino. È evidente nei pochi risultati raggiunti dalla Pesco (tanto che Parigi ha lanciato nel 2018 l’iniziativa E2I esterna all’Unione) e nelle difficoltà ad assegnare un budget ambizioso al Fondo europeo di Difesa (Edf) che dovrebbe partire nel 2021. Qualche segnale comunque c’è, tra lo Strategic Compass per condividere obiettivi e strategie, e la recente pubblicazione della prima revisione coordinata annuale (Card). Segnali anche sul fronte Pesco, ricorda lo studio, in particolare per la possibilità di partecipazione per gli Stati terzi (qui i dettagli). Infine, segnali anche sul Padr ed Edidp, i due programmi-pilota dell’Edf che hanno “dimostrato successo in termini di interesse mostrato dai soggetti che hanno partecipato alle call”.

L’EFFETTO COVID

A complicare la situazione c’è però il Covid-19. “Lo sconvolgimento causato dalla pandemia ha aggiunto ulteriori difficoltà al raggiungimento dell’autonomia strategica dell’Ue; la pesante recessione economica derivante da varie ondate e forme di blocco sta colpendo i Paesi dell’Unione più duramente dell’ultima crisi finanziaria – si legge nello studio – e le sue ripercussioni colpiranno per anni i cittadini e i governi europei”. Ciò rischia di tradursi in una contrazione nel lungo periodo dei budget destinati alla Difesa. D’altra parte, “gli ottimisti” sostengono che i limiti finanziari potrebbero incentivare una più forte cooperazione tra gli Stati membri. In più, il Coronavirus “sta portando le società a fare sempre più affidamento sull’alta tecnologia su sistemi intelligenti per svolgere diversi compiti e fornire servizi in tutti gli aspetti della vita quotidiana”. Ciò “interessa anche il settore della difesa, che impiega lo sviluppo e il progresso tecnologico in tutte le fasi di pianificazione ed esecuzione della difesa”.

IL FATTORE BUDGET

In questo quadro si inserisce l’impegno italiano per la Difesa europea. Secondo lo studio Iai, il nostro Paese si è finora mosso bene, lavorando per iniziative inclusive (ad esempio per le tre entità necessarie per beneficiare dei finanziamenti dell’Edf) e per evitare duplicazioni con la Nato. Resta una debolezza cronica sul fronte del budget. Nonostante i segnali positivi del Documento programmatico pluriennale 2020-2022, infatti, resta profondamente sbilanciato il bilancio della Difesa, con “solo il 18,4% delle risorse dedicato agli investimenti”. Eppure, notano Marrone e Sabatino, “livello, qualità, stabilità, tempestività ed efficienza del bilancio italiano sono fondamentali per il contributo dell’Italia sia all’Edf, sia alla Pesco”.

IL CASO TEMPEST

Rischi anche per “la cooperazione europea in materia di difesa che è attualmente fuori dal quadro dell’Ue, ma che resta cruciale per l’autonomia strategica europea in senso lato”. L’esempio più evidente è il Tempest, il programma per il velivolo di sesta generazione promosso dal Regno Unito e a cui hanno aderito Italia e Svezia. “A settembre 2020 – ricordando gli esperti Iai – le industrie italiane hanno raggiunto un accordo con le loro controparti, ma il ministero della Difesa non ha messo sul tavolo le risorse necessarie per cofinanziare il progetto”.

DIVERGENZA CON GLI USA?

La sesta generazione aeronautica si lega però a un altro tema rilevante per l’Italia: come interagire con l’evidente asse franco-tedesco che muove la Difesa europea. “La Brexit ha rimosso dall’Ue l’equilibrio filo-atlantico che il Regno Unito poneva alla Francia e, in misura minore, il freno intergovernativo a un ruolo rafforzato della Commissione sul mercato e l’industria della difesa”. Ciò “ha consentito un’accelerazione delle iniziative di difesa dell’Ue che probabilmente continueranno a medio termine”. Un’accelerazione “verso una direzione leggermente più divergente da Usa e Nato”. Complice il progressivo disimpegno di Washington, già ha portato l’Ue a una nuova assunzione di responsabilità, soprattutto nel vicinato, evidente ad esempio con l’operazione Irini per la Libia.

ADERIRE ALL’ASSE FRANCO-TEDESCO?

Secondo lo Iai, l’Italia dovrebbe approfittarne, raccogliendo quanto possibile da questa nuova attenzione comune verso il Mediterraneo e il fronte sud. La priorità per Marrone e Sabatino è “entrare stabilmente nel motore franco-tedesco della difesa e dell’autonomia strategica dell’Ue”. In un mondo ideale, aggiungono, “ciò potrebbe assumere l’ambiziosa forma di trattato trilaterale, il quale supererebbe l’approccio francese basato su una rete di trattati bilaterali firmati da Parigi, che ovviamente pone la Francia in una posizione di leadership”. Non un’adesione piatta, dunque, ma un tentativo di orientare l’attuale guida della difesa europea.

TRE SUGGERIMENTI

Come? Con tre iniziative. Primo, “premere per la cooperazione Nato-Ue su molteplici dossier, dal vicinato meridionale alle minacce ibride, dai domini cyber e marittimi all’innovazione tecnologica”. Secondo, lavorare “all’interno della Nato e nei confronti degli Stati Uniti per difendere le iniziative di Difesa europea come Edf e Pesco, affinché siano sinergiche con l’Alleanza”. In terzo luogo, “nel contesto dell’Unione, promuovere un approccio pragmatico alla capacità e al rafforzamento delle istituzioni al fine di evitare tensioni inutili con gli Stati Uniti”.

ALTRIMENTI…

“Le alternative per l’Italia – spiegano gli esperti – non sembrano né più facili né migliori”. Da una parte, “un atteggiamento attendista nei confronti dell’autonomia strategica europea lascerebbe de facto la leadership della difesa dell’Ue all’asse franco-tedesco, con Parigi al posto di guida”. Ciò “rischia di aumentare la deriva transatlantica, dividere gli europei tra coloro che sostengono un livello estremo di autonomia strategica e quelli, in particolare nell’Europa orientale, che rifiutano l’intero processo per non mettere a rischio l’ombrello di sicurezza della Nato nei confronti della Russia”. Il risultato, conclude lo studio Iai, “sarebbe un’Europa fratturata e indebolita all’interno di un Occidente diviso, che non diventerebbe un giocatore, ma piuttosto un campo di gioco per la competizione tra vere grandi potenze”.

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