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Economy of Francesco, il papa prende il toro per le corna. Parla Zamagni

“Bisogna cambiare le regole del gioco economico e finanziario. Non ci si può più lamentare delle diseguaglianze crescenti in un contesto in cui la finanza ha delle regole che sono eticamente immorali, come accettato da tutti”. In tutto ciò, “il Papa si preoccupa di aggredire le cause, vale a dire le regole del gioco che sono ormai obsolete”. Conversazione di Formiche.net con l’economista Stefano Zamagni, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze sociali, a conclusione dell’evento “The Economy of Francesco”

“Abbiamo bisogno di un cambiamento, vogliamo un cambiamento, cerchiamo un cambiamento”. Con queste parole, papa Francesco ha chiuso l’incontro di Assisi “The Economy of Francesco”, da tempo in cantiere e che si è dovuto svolgere in forma telematica a causa della pandemia. Un incontro in cui si sono confrontati duemila giovani da tutto il mondo per parlare di una nuova economia, più giusta, più inclusiva, capace di ricalcare le orme di Francesco di Assisi e la creatività del francescanesimo e del cristianesimo nel dar vita a processi di trasformazione sociale, anche dal punto di vista economico. E per “firmare” un patto globale per una nuova economia da presentare al papa.

“Questo incontro virtuale ad Assisi per me non è un punto di arrivo ma la spinta iniziale di un processo che siamo invitati a vivere come vocazione, come cultura e come patto”, ha detto il papa nel video-messaggio conclusivo dei lavori che si sono svolti dal 19 al 21 novembre. La presa d’atto di Bergoglio è che “urge una diversa narrazione economica, urge prendere atto responsabilmente del fatto che l’attuale sistema mondiale è insostenibile da diversi punti di vista e colpisce nostra sorella terra, tanto gravemente maltrattata e spogliata, e insieme i più poveri e gli esclusi”. Per questo, il papa ha esortato i “giovani economisti, imprenditori, lavoratori e dirigenti d’azienda”, a “favorire e stimolare modelli di sviluppo, di progresso e di sostenibilità”.

Tra gli organizzatori dell’evento c’è l’economista Stefano Zamagni, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze sociali. “L’economia di Francesco è una iniziativa che il papa ha inteso prendere sulla base di sollecitazioni che da anni porta avanti”, ha spiegato Zamagni in questa conversazione con Formiche.net.

Professore, è giunta la conclusione dell’evento, dove si è discusso di tanti argomenti, declinati in 12 ambiti tematici. Ora, però, quali sono gli obiettivi?

Il punto di partenza per capire l’economia di Francesco sta nel fatto che queste papa ha come impianto filosofico il realismo storico, che è una particolare linea di pensiero che dice: non basta denunciare le cose che non vanno, e le situazioni che non sono accettabili, dal punto di vista etico o da altri punti di vista. Ma bisogna anche arrivare a indicare i modi di superamento di quelle che Giovanni Paolo II chiamava “strutture di peccato”. Il papa aveva già elencato le cose che non vanno, tanto nell’Evangelii Gaudium quanto nella Laudato Si’. A un certo punto però Francesco ha detto: non possiamo continuare in questo modo, bisogna anche indicare le forme e le vie attraverso le quali aggredire le cause. L’alternativa, quindi, non può che riguardare il nuovo modo di pensare l’economia. Ma non pensarla per pensarla: per trasformarla. Quindi la strategia che il papa persegue non è la riforma, ma la trasformazione.

Perché l’idea di convocare solamente dei giovani?

L’idea di rivolgersi ai giovani è venuta perché i giovani sono modellabili, a differenza dei vecchi, che raggiunta una certa età non cambiano più le loro idee. Quindi: giovani economisti e giovani imprenditori. Se si vuole fare cambiare il modo di organizzazione del lavoro e dell’impresa è inutile rivolgersi a chi ha già passato tutta la sua vita all’interno del modello taylorista.

Ci spieghi di più, professore.

Perché gli imprenditori intelligenti lo sanno: il vero nemico è il taylorismo. I meno intelligenti ancora non l’hanno capito. Perché è un modo di produzione che ha avuto il suo successo, ma che con l’arrivo del digitale e della globalizzazione provoca disastri. Le imprese poi falliscono dando la colpa ad altri fattori, non vedendo che invece è proprio il taylorismo. Quindi, la prima causa dell’attuale situazione è nelle forme di organizzazione. La seconda è che bisogna cambiare il modo in cui si fa ricerca economica, perché non è possibile continuare con modelli di carriera dove per andare avanti bisogna che il giovane o la giovane studiosa segua un certo paradigma, perché si confonde il rigore con l’adesione a quel paradigma. In questo modo si perpetua il conformismo e l’avanzamento delle nuove idee non c’è mai. Il papa dice: ci vuole pluralismo. Il terzo punto, infine, è che bisogna cambiare le regole del gioco economico e finanziario. Non ci si può più lamentare delle diseguaglianze crescenti in un contesto in cui la finanza ha delle regole che sono eticamente immorale, come accettato da tutti. Ma chi ha convenienza a conservarle deve fare finta di arrampicarsi sugli specchi con considerazioni varie.

Quale sarà, a suo avviso, l’impatto dell’iniziativa?

Nessuno può sapere se l’iniziativa avrà successo o meno, ma è importante il punto di svolta. Una iniziativa del genere non si era mai verificata in duemila anni di storia. La Chiesa ha sempre fatto convocazioni, su temi come la pastorale o la teologia. Ma sull’economia non era mai accaduto. Questo perché il papa, e insieme a lui tanti altri, ha capito che siamo ad un punto di non ritorno. Stiamo distruggendo l’ambiente, e la pandemia ci ha fatto capire di essere arrivata proprio da quel disastro ecologico, in questo caso dai sistemi alimentari. Il papa quindi non può limitarsi a dire di fare i buoni. Bisogna avere il coraggio di aggredire l’esistente e prendere il toro per le corna.

Durante la pandemia, in quella famosa sera del 27 marzo, il papa ha affermato: “Pensavamo rimanere sempre sani in un mondo malato”. Al netto di titoli sensazionalistici e che fanno discutere, come quello ormai famoso del Time, “The Great Reset”, pensa che la crisi sanitaria internazionale sia il momento buono per ragionare di un’economia più giusta? 

L’economia più giusta è l’effetto non è la causa. I giornali stranieri che dicono questo confondono le cause con gli effetti. Bisogna aggredire le cause se si vuole cambiare l’effetto. Perché non c’è giustizia nella distribuzione del reddito e delle ricchezza? Per fare più giustizia non si può solo aumentare le offerte o la tassazione. Così non si va da nessuna parte. Bisogna agire sul piano, non redistributivo, ma pre-distributivo. Intervenendo ex-post si può al limite aumentare di qualche punto la pressione tributaria e dare il ricavato ai poveri: ma quelli rimarranno sempre poveri! Il punto è di avviare un processo trasformazionale, e ciò è possibile.

Di fronte a tutto questo, come si pone il papa?

Il papa si preoccupa di aggredire le cause, vale a dire le regole del gioco che sono ormai obsolete. Le regole del commercio internazionale sono state fatte quando il gettito delle transazioni erano automobili e tessile. Oggi sono i big data, i software e via dicendo. Mentre il mondo va ancora avanti con le regole del 1944. Ma si può essere più stupidi? I tempi sono cambiati, come anche il contesto.

Da qui si origina anche lo strapotere, ad esempio, delle Big Tech.

Esatto. Ma basta cambiare la regola e dire che dai sistemi di contabilità, oltre ai costi diretti, vengano inseriti i costi indiretti. Risolveremmo tanti di quei problemi. Le imprese che inquinano mica pagano per i costi del disinquinamento!

La pandemia mette in discussione, oggi, tanti commerci. Ci sono interi settori in grande difficoltà, mentre le imprese del digitale prosperano. Se ne è parlato?

Questa che stiamo vivendo, come spiega la rivista Lancet, non è una pandemia: è una sindemia. Una epidemia cioè che risulta dal concorso sia del virus che dalle condizioni climatiche, ambientali e sociali che si sono prodotte negli ultimi decenni. Quello di cui stiamo soffrendo risulta dalla combinazione (sin – in greco vuole dire assieme) di molti fattori che consentono al virus di entrare nell’organismo. Parlare di sindemia è quindi molto più potente: dire che è una pandemia fa pensare a un dato di natura, ma non è così. I virus ci sono sempre stati. Oggi producono questi effetti perché si sono uniti a molti altri fenomeni.

Alla fine dell’evento, qual è il messaggio, o il progetto, che ne emerge?

L’anno prossimo, di questi tempi, il papa tornerà ad Assisi per completare l’evento. Quindi le cose che sono state dette verranno elaborate e riassestate. Ma intanto il messaggio è arrivato forte e chiaro. Da cui rimane una spina nel cuore, di una voce autorevole che ha detto: sei sulla via sbagliata. E la coscienza prima o poi rimorde.

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