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La Nato, l’Europa e Biden. Cosa avvicina le due sponde dell’Atlantico

Un’agenda fitta attende i ministri degli Esteri della Nato, che domani si ritroveranno (via web) per il consueto meeting di fine anno. Sarà l’ultimo per Mike Pompeo e per l’amministrazione Trump, mentre il dibattito tra Macron e Akk sulla “autonomia strategia dell’Europa” arriva fino a Washington (e a Biden)

Russia, Cina e riflessione strategica sul futuro dell’Alleanza. Sono questi i principali punti dell’agenda della riunione dei ministri degli Esteri della Nato, in programma (da remoto) domani e dopo domani. Luigi Di Maio e colleghi ritroveranno per l’ultima volta Mike Pompeo, segretario di Stato dell’amministrazione uscente degli Stati Uniti. La transizione da Donald Trump e Joe Biden alimenta diversi interrogativi interni all’Alleanza, con attese che vanno dall’Afghanistan fino ai più generali rapporti tra le due sponde dell’Atlantico. A gestire i lavori ci sarà il segretario generale Jens Stoltenberg, che oggi ha anticipato il meeting con la tradizionale conferenza stampa.

MINACCE RUSSE…

L’agenda si aprirà come di consueto sul fronte più tradizionale, quello orientale. La Russia è ancora in cima alla lista delle minacce, con la pressione sul fianco est e i timori degli alleati dell’area. La modernizzazione militare di Mosca e la perdurante occupazione della Crimea continuano difatti a preoccupare, così come la crescente ambizione di influenza nel Mediterraneo (dalla Siria alla Libia) e le manovre nel Mar Nero. La Nato resta ferma sul “doppio binario”, proseguendo sia la strada della deterrenza, sia quella del dialogo. “La Russia sta modernizzando il suo arsenale nucleare e dispiegando nuovi missili”, ha notato Stoltenberg, aggiungendo che alla ministeriale si parlerà anche del trattato New Start, in scadenza a febbraio.

…E SFIDE CINESI

Accanto alla Russia, la Nato ha ormai posto la sfida cinese. L’ascesa del Dragone è entrata nell’agenda da un anno, soprattutto grazie alle pressioni americane a muoversi in tal senso; pressioni che si attende saranno mantenute da Joe Biden. “Non perché la Nato si avvicina alla Cina, ma perché è la Cina ad avvicinarsi a noi”, ripete come un mantra Stoltenberg. Il riferimento è all’azione cinese (tra soft e hard power) dall’Artico all’Africa, dalla propaganda sul virus alla modernizzazione militare, dallo spazio cibernetico a quello extra-atmosferico. “La Cina non è un nostro avversario – ha detto oggi il segretario generale – la sua ascesa rappresenta un’importante opportunità per l’economia e il commercio; dobbiamo ingaggiarla su temi come il controllo degli armamenti e il cambiamento climatico”. Tuttavia, “si sono sfide importanti anche alla sicurezza: la Cina sta investendo massivamente in nuove armi, sta venendo più vicina, dall’Artico all’Africa, anche investendo nelle nostre infrastrutture”. L’obiettivo è affrontare il tutto “insieme, sia come alleati Nato sia come comunità di Paesi che hanno lo stesso sistema di valori”. E così, alla sessione di venerdì, ai ministri degli Esteri della Nato si aggiungeranno tra gli altri anche quelli di Australia, Giappone e Corea del sud.

LA RIFLESSIONE STRATEGICA

Riflettori puntati poi sul rapporto “Nato2030”, che il gruppo di dieci esperti indipendenti (con l’italiana Marta Dassù) ha presentato la scorsa settimana a Stoltenberg, che verrà ora illustrato ai ministri degli Esteri e, dopo, reso pubblico. Si attende un documento corposo, richiesto al segretario generale della Nato a dicembre dello scorso anno, quando i capi di Stato e di governo si riunirono a Londra tra le punzecchiate di Donald Trump e le sentenze di Emmanuel Macron sulla “morte cerebrale” dell’Alleanza. Si punta alla “riflessione strategica”, per rendere la Nato “più politica e globale”. Oltre l’analisi del contesto tradizionale (Russia in primis) dal documento si attendono focus sull’ascesa cinese, sul cambiamento climatico e sulla perdurante sfida del terrorismo internazionale. Inevitabile anche il riferimento alle nuove tecnologie, ormai ritenute capaci di rivoluzionare i contesti operativi.

IL DIBATTITO IN EUROPA

Nel frattempo il dibattito tra il presidente francese Emmanuel Macron e la ministra tedesca Annegret Kramp-Karrenbauer è arrivato fino a Washington. A colpi di interviste ed editoriali (qui il punto del generale Vincenzo Camporini), riguarda il concetto di “autonomia strategica” del Vecchio continente; a confronto ci sono la versione transalpina, radicale, secondo cui l’Europa dovrebbe essere indipendente dagli Usa, e quella più moderata, tedesca (e italiana), per qui l’idea di un’Ue senza Nato è “un’illusione”, per usare le parole di Akk. Questa seconda via interpreta la Difesa comune europea come “un rafforzamento del pilastro europeo interno alla Nato”, per usare invece i concetti espressi dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini.

LA VISIONE DI WASHINGTON

Visioni a confronto che interessano l’amministrazione Usa entrante, targata Joe Biden. Oggi, il Wall Street Journal nota che la volontà del presidente eletto di ricostruire la “fiducia reciproca” tra le due sponde dell’Atlantico potrebbe scontrarsi con il dibattito europeo, oppure trarre opportunità allettanti. “L’amministrazione Biden dovrebbe incoraggiare il rafforzamento delle capacità strategiche europee”, ha spiegato al quotidiano Ivo Daalder, rappresentante Usa alla Nato durante l’amministrazione Obama e ora presidente del Chicago Council on Global Affairs. “Abbiamo bisogno – ha aggiunto – che si passi da un’Europa guidata dagli Stati Uniti, a un’Europa che può guidare da sola, partner strategico degli Stati Uniti”. Idea condivisa dall’europarlamentare Radoslaw Sikorski, già ministro degli Esteri di Polonia: “Dovremmo assumerci una quota maggiore di leadership in modo che le risorse statunitensi siano liberate a est”.

L’ATTESA PER BIDEN…

Per tutto questo, è forte in ambito Nato l’attesa per l’insediamento della nuova amministrazione. Per quanto le richieste americane sembrerebbero destinate a non subire variazioni, si spera almeno in un ritorno a toni più tradizionali e alla fiducia nel multilateralismo. Il primo banco di prova sarà la ministeriale Difesa di febbraio a cui dovrà partecipare il nuovo capo del Pentagono (casella ancora incerta, per cui è in testa Michele Flournoy). L’attesa riguarda anche i contesti operativi.

…E PER L’AFGHANISTAN

Tra i colpi di coda della presidenza Trump c’è il ritiro dall’Afghanistan, che dovrebbe portare entro il 15 gennaio a una presenza americana ridotta a 2.500 unità (dalle 4.500 attuali). I partner della Nato coinvolti nella missione Resolute Support (Italia in testa) sono stati rassicurati che, seppur ridimensionato, il contingente Usa permetterà agli impegni di proseguire come previsto. L’attesa è per i negoziati di pace intra-afgani, su cui preme un livello di violenza da parte talebana tuttora “inaccettabile”. Con ogni probabilità, i ministri degli Esteri ribadiranno quanto detto da Stolteberg (e da Guerini): in together, adjust together, out together. Il tutto resta “condizionato” al raggiungimento della stabilità interna.

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