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L’Italia e la Nato fra Mediterraneo, Cina e investimenti. Parla Frusone (M5S)

Intervista a Luca Frusone, deputato M5S e presidente della delegazione italiana all’Assemblea parlamentare della Nato, che lunedì ha chiuso la sua sessione annuale tra Covid-19, ascesa cinese e nuovi domini operativi. Con Biden alla Casa Bianca cambia qualcosa? “No, la Nato è e sarà sempre fondamentale per gli Usa”

Ascesa cinese, pressione russa e pandemia globale. Ma anche tensioni nel Mediterraneo, terrorismo internazionale e nuovi domini operativi. È un’agenda fitta quella dell’Alleanza Atlantica, scandagliata negli ultimi giorni dall’Assemblea parlamentare della Nato, riunitasi (in forma digitale) per la sua consueta sessione annuale. A guidare la delegazione italiana c’era Luca Frusone, deputato M5S, che Formiche.net ha raggiunto per commentare i sei giorni di incontri e riunioni.

Presidente, si è da poco conclusa una sessione annuale all’insegna del Covid. Che sessione è stata?

Collaborazione e Coesione. Sono queste le parole che possono riassumere lo spirito della sessione annuale appena conclusa. L’impatto dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 ha fortemente influito sulle tematiche e sulle modalità di discussione delle stesse. Tuttavia, l’impegno profuso dall’Assemblea nell’assicurare un confronto costruttivo volto ad affrontare le problematiche e le sfide che vedono impegnata l’Alleanza non è mai stato così intenso.

Quali i principali temi trattati?

I sei giorni di incontri hanno consentito un confronto fondamentale sulle sfide alla sicurezza globale rappresentate dall’ascesa della Repubblica popolare cinese, dall’impatto che il Covid-19 ha avuto e avrà sugli investimenti nella difesa, nonché sul futuro stesso dell’Alleanza. Durante i dibattiti non si è inoltre trascurata la modernizzazione militare operata dalla Russia, gli sviluppi nel Mar Nero e nei Balcani occidentali, il ruolo delle donne nel settore della sicurezza e delle difesa, la crescente attenzione nei confronti dell’area mediorientale e nordafricana e le recrudescenze terroristiche verificatesi nell’ultimo periodo.

Tra i temi, anche la riflessione strategica Nato2030 per una Nato “più politica e globale”. Che significa?

L’attualità sta imponendo fortemente la Nato come foro di discussione privilegiato, permettendo anche di portare a termine politiche utili alle altre organizzazioni internazionali. Lo stesso segretario generale, Jens Stoltenberg, parlando all’Assemblea ha evidenziato come la Nato sia l’unico luogo in cui Paesi europei e Nordamericani si confrontano con regolarità. Proprio questa caratteristica le ha permesso di essere luogo di incontro tra Grecia e Turchia, utilizzando il “de-confliction mechanism”, volto a ridurre il rischio di incidenti nel Mediterraneo orientale e permettendo quindi una linea di confronto diretta, allo scopo di facilitare la risoluzione di tensioni sempre più preoccupanti. Occorre tuttavia fare una specificazione.

Prego.

Le tensioni tra Grecia e Turchia hanno origini storiche e profonde. Il dialogo e la diplomazia sono la via maestra. Seppur lontani da una completa risoluzione delle avversità, il dialogo intrapreso in seno all’Assemblea parlamentare fa ben sperare per il futuro. Inoltre, in quanto organo parlamentare indipendente, l’Assemblea ha la libertà di affrontare questioni che non figurano direttamente nell’agenda del Consiglio atlantico. Bisogna comunque essere chiari quando si parla di Nato: sebbene si tratti di un’organizzazione internazionale di natura politico militare a carattere regionale, le sfide che dobbiamo affrontare sono sempre più globali. Terrorismo, minacce informatiche, proliferazione di armi nucleari, pandemie e campagne di disinformazione richiedono necessariamente un approccio globale.

La #Nato2030 sarà anche più attenta al fronte sud, come chiede l’Italia da tempo?

L’impulso italiano e l’intenso lavoro svolto dalla delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare della Nato contribuisce fortemente a orientare lo sguardo dell’Alleanza verso i pericoli e le criticità del suo versante meridionale, sia in termini di pianificazione militare, sia di rafforzamento della cooperazione pratica e del dialogo politico con i Paesi partner della regione. In tale contesto è importante evidenziare la nuova missione della Nato denominata “Implementation of the Enhancement of the Framework for the South”, finalizzata al rafforzamento della stabilità delle regioni poste lungo il fianco sud dell’Alleanza attraverso attività di formazione e di supporto dei Paesi dell’area. Allo stesso tempo l’Alleanza può contare sul lavoro dell’Hub Nato Strategic Direction South che, insieme all’Allied Joint Force Command (JFC), rappresentano un vero punto di forza nell’area.

Cosa manca?

I governi della Nato dovranno lavorare più da vicino con gli esecutivi della regione e le organizzazioni internazionali coinvolte, al fine di favorire le condizioni per una pace duratura. Ciò è particolarmente importante in un momento in cui il Covid-19 sta fomentando gravi tensioni sociali nella regione. Tuttavia, non possiamo di certo accontentarci e dobbiamo incrementare gli sforzi nel Mediterraneo.

Come?

Rivendichiamo in particolare l’eccellenza del contributo dell’Italia alle missioni internazionali che fa del nostro Paese un security provider apprezzato a livello globale. Occorre dotare l’Alleanza di un quadro concettuale che le permetta di strutturare l’insieme delle attività di polizia o ad essa collegate, finalizzate a rinforzare o sostituire temporaneamente le forze dell’ordine locali per contribuire al ripristino o al mantenimento della quiete e della sicurezza pubblica, dello Stato di diritto e della tutela dei diritti umani, elemento sempre più richiesto negli scenari attuali. Proprio su quest’ultimo punto, come presidente della delegazione, sto lavorando per rafforzare il ruolo dell’Arma dei Carabinieri, da sempre riconosciuta come eccellenza del nostro Paese nell’ambito dei processi di stabilizzazione e ricostruzione post-conflitto.

Ormai da mesi, tra le sfide nell’agenda Nato c’è anche l’ascesa cinese. Come affrontarla?

L’ascesa cinese, è scontato ribadirlo, sta cambiando radicalmente l’equilibrio geopolitico mondiale. Gran parte del dibattito durante la sessione annuale si è concentrato sull’ascendente che la Cina ha raggiunto nelle economie e nelle industrie ad alto contenuto tecnologico degli alleati. L’influenza cinese si distende in nuove aree come l’Artico e l’Africa. Anche nel Mediterraneo, vediamo Pechino porsi sempre più come nuovo player strategico con il quale dover trattare. Inoltre, come sottolineato da Stoltenberg, la Cina ha incrementato la sua collaborazione e cooperazione economico-strategica con la Russia. Pechino può inoltre ormai vantare capacità militari moderne che la vedono in prima linea nel dominio cibernetico e spaziale. Diventa quindi necessario sviluppare un dialogo effettivo, in grado di assicurare la sicurezza senza tralasciare le relazioni economiche che i singoli Paesi e la Cina intrattengono.

Dal prossimo gennaio alla Casa Bianca ci sarà Joe Biden. Si attendono toni più concilianti rispetto a Trump. Ma nel concreto cambierà qualcosa per l’Alleanza?

No. Sono fermamente convito che per gli Stati Uniti d’America, la Nato è e sarà sempre fondamentale per la politica estera. Del resto, al di là di qualche dichiarazione, lo è stata anche per il presidente Trump.

L’Italia continuerà a rispettare gli impegni di aumentare la spesa per la Difesa? Segnali in tal senso ci sono già nel Dpp 2020-2022.

Il Documento programmatico pluriennale conferma l’impegno dell’Italia per la modernizzazione delle Forze armate, in un’ottica di sostenibilità finanziaria, di rafforzamento della dimensione interforze e di crescente integrazione con l’Unione europea e con la Nato. L’Italia, come affermato dal ministro Guerini, sta intraprendendo tutti gli sforzi necessari per avviare un percorso teso a incrementare gradualmente gli investimenti, con l’obiettivo di allineare, progressivamente, il rapporto tra il budget della Difesa e il Pil nazionale alla media degli altri Alleati europei.

Ci spieghi meglio.

Per fornire alcuni numeri, nella ministeriale di febbraio l’Italia ha presentato un rapporto spese Difesa/Pil pari, in termini percentuali, all’1,21% nel 2019 e all’1,26% nel 2020 e 2021. Confrontato con i precedenti Dpp, quello di quest’anno è molto ambizioso. Sommando programmi già attuati e di prossimo avvio, mentre l’anno scorso erano disponibili risorse per circa 4,5 miliardi di euro, quest’anno si arriva a circa 5,5 miliardi. Le esigenze senza copertura finanziaria l’anno scorso erano di 20 miliardi di euro, oggi sono 46 miliardi. Su questo fronte dobbiamo impegnarci maggiormente, privilegiando con la massima trasparenza gli investimenti di qualità. Venendo incontro alle richieste dei Paesi membri, l’Alleanza ha già indicato come coerente la possibilità di includere, nel computo del 2%, anche le spese sostenute per le iniziative promosse dall’Unione europea, quali l’European defence industrial development programme (Edidp) e, in prospettiva, l’European defence fund (Edf).

Resta l’idea di rivedere il calcolo del 2% del Pil conteggiando altre spese?

Sì. Rimane necessario ricalcolare il 2% in ottica anche degli investimenti che le singole nazioni sostengono per i nuovi domini operativi e, in particolare, quelli connessi alla sicurezza cibernetica e al settore spaziale. Un ultimo auspicio personale è che data la crisi economica, aggravatasi durante la pandemia, gli stanziamenti per la difesa e la sicurezza non diminuiscano: abbiamo tutti visto quanto questi siano stati, anche recentemente, fondamentali. Tuttavia, si potrebbe discutere di prestare maggiore attenzione a quei progetti che hanno una diretta ricaduta nazionale, incrementando così la produzione e l’offerta di lavoro del nostro sistema Paese.

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