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Perché Google è tra più fuochi. L’analisi di Pennisi

Il dipartimento della Giustizia negli Usa e l’Autorità garante della concorrenza e del mercato in Italia hanno puntato i riflettori su Google e la sua presunta posizione dominante. Ecco quali sono le accuse mosse al gigante di Mountain View

Probabilmente a ragione della pandemia, la stampa, anche quella economico-finanziaria, dà meno rilievo di quanto meriterebbe alle vertenze aperte delle autorità di regolazione e controllo nei confronti di Google, il colosso di Mountain View. Ve ne se sono in corso molteplici dal cui esito dipende in gran misura il futuro della comunicazione nel mondo.

Soffermiamoci su quelli in corso in Italia e negli Stati Uniti. Il primo riguarda un’istruttoria aperta dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato per il “presunto abuso di posizione dominante e violazione delle regole europee sulla disponibilità e l’abuso dei dati per l’elaborazione di campagne pubblicitarie in rete”. Secondo l’accusa, Google fa tre parti in commedia: gioca, fa l’arbitro ed il tifoso della squadra che paga di più.

Non solo, secondo l’Autorità della concorrenza, la piattaforma Google di erogazione delle campagne, detiene l’80% del mercato, se non di più e utilizza in modo discriminatorio “l’ampia mole di dati in suo possesso” in modo da tarare la campagne pubblicitarie alle “preferenze rivelate” del pubblico.

Dal 2015, Google non consente agli inserzionisti di acquistare spazi su YouTube “mediante operatori terzi” e dal 2018 una modifica tecnica (la decriptazione) non consente più l’identificazione dei suoi utenti. I rappresentati di Google si trincerano dietro la normativa italiana ed europea sulla privacy – una trincea debole – e assicurano che continueranno a lavorare con le autorità italiane in modo da trovare una soluzione soddisfacente. Vertenze analoghe sono in corso in numerosi Paesi dell’Unione europea (Ue) e – come è noto – il programma Next Generation Eu prevede un’imposta di scopo “europea” per finanziare il Recovery and Resilienze Fund.

Se Google è sotto schiaffo nell’Ue, lo è ancora di più negli Stati Uniti, dove, dopo un lungo periodo di torpore, le autorità antitrust si sono risvegliate. E, quel che più conta non hanno preso di mira Google su innovazioni tecnologiche del ventunesimo secolo come l’intelligenza artificiale o nuovi algoritmi del motore di ricerca, ma hanno puntato al cuore stesso del gigante di Mountain View.

L’atto d’accusa scritto dal dipartimento della Giustizia pare copiato pari pari da quello nei confronti di Microsoft del lontano 1998. “Google è un monopolio ed utilizza il suo potere per impedire il sorgere stesso di concorrenti, specialmente tramite accordi in esclusiva con partner come Apple”. I legali di Google ammettono il ruolo nel settore ma argomentano che ciò non ha danneggiato i consumatori – anzi li avrebbe avvantaggiati tramite servizi gratuiti. Anche al pari di Microsoft (il cui motore di ricerca Internet Explorer è anche esso gratuito), il j’accuse del dipartimento della Giustizia non entra in aspetti specifici ma va al nodo del problema: un monopolio è immune dalle forze della concorrenza e può in qualsiasi momento aumentare prezzi o abbassare la qualità. In effetti, uno studio condotto da Columbia University rivela che negli ultimi anni, senza concorrenza o quasi, il motore di ricerca di Google, anche l’auto-celebrato Google Chrome, dà segni di peggioramento tanto che alcuni utenti stanno tornando al vecchio Internet Explorer che avevano abbondonato. Ma un duopolio non è molto meglio di un monopolio.

Non sta ad un chroniqueur entrare nella complessa matassa giuridica al centro di queste vicende. La storia economica, però, insegna che i monopoli non si sgretolano da soli. L’Ibm avrebbe dominato il mercato mondiale dell’informatica per sempre e la Bell quello americano della telefonia se non ci fosse stata l’azione decisa dell’antitrust.

L’importante recente libro di Salvatore Zecchini (autorevole collaboratore di questa testata) Politica Industriale nell’Italia dell’euro (pp, 572, Donzelli Editore, € 32) documenta, in modo analitico e minuzioso, che il mercato unico europeo e la concorrenza da esso scagionata sono stati gli elementi che hanno irrobustito e reso più dinamica la parte migliore dell’industria italiana.

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