Un’analisi su come il mercato e la concorrenza conducono ad una migliore equità distributiva di quanto non possa fare “un arbitro” o un “dittatore benevolo”. Giuseppe Pennisi legge “Contro la tribù- Hayek la giustizia sociale ed i sentieri della montagna” (Marsilio), scritto da Alberto Mingardi, direttore generale dell’Istituto Bruno Leoni
Quando si scrive di un libro appena uscito la prassi è di riassumerlo prima di commentarlo e di fare finta di non conoscere l’autore, specialmente se con quest’ultimo si ha una frequente interlocuzione da anni. La prassi è anche di esprimere rilievi critici nei paragrafi finali ma, nonostante ciò, di invogliare i lettori a correre in libreria a comprare il volume. Questa volta voglio cominciare con un tocco personale.
Conosco Alberto Mingardi dall’inizio di questo secolo quando, mentre completava il dottorato, dava vita, con Carlo Stagnaro e Carlo Lottieri, all’Istituto Bruno Leoni che prende il nome dal giurista e filosofo del diritto Leoni e promuove le idee liberali in Italia e in Europa. Nonostante la differenza di età – io sono nato nel 1942, Mingardi nel 1981- nacque tra noi una simpatica amicizia. Ci vedevamo spesso a Milano (dove andavo almeno una volta al mese). Scoprimmo di essere ambedue appassionati di musica, specialmente di opera lirica, oltre che di libero mercato. Ci incontrammo sovente alla Scala e nel 2013 passammo una piacevole settimana insieme a Salisburgo. Mingardi continua a dirigere l’Istituto Bruno Leoni ed è ora professore di ruolo all’Università Iulm di Milano, nonché frequente collaboratore del Corriere della Sera.
Ho anche un legame, indiretto, con Friedrich A. von Hayek a ragione della stretta amicizia con A. David Knox (classe 1925). Anche in questo caso la differenza di età era significativa. La nostra amicizia iniziò in Banca Mondiale, ma durò sino a quando circa otto anni fa Knox se ne andò. Ci legava anche la passione per la lirica. Nel 1982, rientrai in Italia. Nel 1989, Knox rientrò in Gran Bretagna, pure in seguito a differenze di idee con l’allora presidente della Banca Mondiale. Venne più volte, con sua moglie, in visita da noi a Roma, e noi andavamo da lui a Oxford. Knox era stato allievo di Hayek, che lo considerava uno dei suoi migliori e lo agevolò ad andare “in cattedra” allo London School of Economics quando aveva meno di trent’anni. Hayek – mi raccontava Knox – raramente veniva in aula con due calzini dello stesso colore; dava giustamente più importanza al pensiero che all’abito.
Cosa c’entra questo con Contro la tribù- Hayek la giustizia sociale ed i sentieri della montagna (pp.370, Venezia, Marsilio, € 16)? C’entra, c’entra. I veri liberali sono pochi, ma si riconoscono tra loro al di là delle differenze di età, nazionalità, occupazione, milieu. Non diventano mai una tribù caratterizzata da rapporti intesi a promuovere finalità particolaristiche “di gruppo”.
Contro la tribù ha un titolo accattivante, quasi da saggio di polemica politica anche perché esce in un momento in cui Europa ed in Italia la pandemia diventa strumento per un nuovo statalismo non strisciante o mascherato ma imperante in tutti i settori. Sovente per facilitarne l’ascesa si utilizza il grimaldello della giustizia sociale. È invece un testo accademico, quali quelli di Mingardi su Herbert Spencer e Thomas Hodgskin pubblicati in lingua inglese, presso editori internazionali, dallo stesso Mingardi, rispettivamente nel 2011 ed all’inizio di quest’anno. Il libro analizza in profondità il pensiero filosofico ed economico di Hayek e la sua evoluzione dagli anni immediatamente successivi alla Seconda guerra mondiale alla sua sistemazione definitiva nelle sue opere maggiori, quali The Constitution of Liberty (1960), che lo condussero a ricevere, nel 1974 il premio Nobel per l’economia.
Non è – come hanno scritto alcuni – un libro contro le politiche, i programmi e le misure per la giustizia sociale – ma un’analisi di come il mercato e la concorrenza conducono ad una migliore equità distributiva di quanto non possa fare “un arbitro” o un “dittatore benevolo”. Per Hayek le società sono passate, attraverso i millenni, dalle bande e dalle tribù preistoriche (società semplici e chiuse) alle complesse società contemporanee, una parte delle quali relativamente libere e aperte. Ispirandosi allo scozzese Adam Smith e all’economista austriaco Carl Menger, Hayek ha mostrato che le società non sono solo il prodotto di scelte deliberate (di re e altri potenti) ma anche, in larga misura, l’effetto non previsto né voluto da alcuno di innumerevoli, anonimi (e spesso umili), frequentatori di “sentieri di montagna”. Deriva da questa concezione l’idea che le società “libere” contemporanee siano il fragile e fortuito risultato di complessi processi sociali dispiegatisi nel lungo periodo. Non possono esistere senza mercati concorrenziali guidati da norme generali che non ne distorcano gli esiti a favore di questa o quella categoria sociale.
È un lavoro accademico anche per la ricca e vasta bibliografia e gli utilissimi riferimenti ma scritto in modo piano e che merita di essere letto da quelle che un tempo venivano chiamate “le persone colte”.