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Confucio sharp power in azione. Alla Cattolica (per parlare al Vaticano)

Nella Prima repubblica era la politica italiana a tessere le relazioni tra Pechino e Vaticano. Negli ultimi vent’anni molto è cambiato: il dialogo è diventato diretto sotto Francesco. L’intervento della professoressa Giunipero, direttrice dell’Istituto Confucio dell’UniCatt all’evento per i 50 anni dei rapporti Italia-Cina

“Cinquant’anni di relazioni tra Italia e Cina (1970-2020)” è il titolo dell’evento promosso ieri (giovedì 26 novembre) dall’Istituto Confucio dell’Università Cattolica del Sacro Cuore per ricordare il mezzo secolo di rapporti diplomatici, e non solo, tra i due Paesi. Presenti tra gli altri Marina Sereni, viceministra per gli Affari esteri e la cooperazione internazionale, Li Junhua, ambasciatore cinese a Roma, e Franco Anelli, rettore dell’Università Cattolica.

All’evento (tenutosi a poche ore delle tensioni tra Pechino e Santa Sede sugli uiguri) ha partecipato anche la professoressa Elisa Giunipero, direttrice per parte italiana dell’Istituto Confucio presso l’ateneo meneghino (enti attorno ai quali c’è un acceso dibattito negli Stati Uniti ma anche in Italia per i rapporti con la propaganda cinese, come raccontato da Formiche.net). Il suo intervento, di cui uno stralcio è stato pubblicato oggi dal quotidiano dei vescovi Avvenire, è dedicato al ruolo dell’Italia nelle relazioni tra Cina e Santa Sede. In particolare dei politici cattolici, definiti “facilitatori in questo delicato rapporto”. “Per la politica italiana si è trattato di un servizio alla distensione nei rapporti internazionali, che non ha inteso ingerirsi in ambiti altrui ma ha espresso la capacità della diplomazia italiana di lavorare per la pace nel mondo, in una prospettiva che ha cercato di non appiattirsi sul bipolarismo”, ha spiegato Giunipero. Che ha citato, oltre all’impegno dei missionari gesuiti in Cina, non soltanto politici democristiani come Vittorio Colombo, Amintore Fanfani e Giulio Andreotti ma anche i socialisti Pietro Nenni e Bettino Craxi e il comunista Gian Carlo Paletta.

Particolarmente interessante è il passaggio dedicato ad Andreotti dopo le vicende di piazza Tian’anmen: l’allora ministro degli Esteri italiano “si convince ben presto che sarebbe stato un errore isolare la Cina perché un suo indebolimento avrebbe prodotto ‘instabilità a livello internazionale’”, ricorda la docente. Ma soltanto un decennio dopo, con l’ordinazione di cinque vescovi illegittimi che provocò l’irritazione della Chiesa allora guidata da papa Giovanni Paolo II, i contatti s’interruppero bruscamente aprendo a una fase di gelo. Soltanto negli ultimi anni del pontificato di Giovanni Paolo II e durante quello di Benedetto XVI inizia un percorso — in cui “il ruolo di mediazione del governo italiano si riduce” — che porta, “anche grazie al grande impulso dato da papa Francesco al dialogo con la Cina, alla firma dell’Accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi (2018), di recente rinnovato per altri due anni”, ha spiegato la professoressa.

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