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Biden presidente. Cosa cambia per l’Italia? Parla Federiga Bindi

Joe Biden visto da vicino. Intervista con Federiga Bindi. Le relazioni tra i due Paesi? “L’Italia non è più un attore credibile. Quindi, non dipende dal presidente Usa ma dall’azione del governo italiano”

Federiga Bindi, professoressa di Relazioni Internazionali all’Università di Roma Tor Vergata e direttrice della Foreign Policy Initiative all’Institute of Women’s Policy Research a Washington, conosce bene Joe Biden e la sorella, Valerie Biden-Owens, uno degli architetti della campagna elettorale oltre che fidata consigliera del presidente eletto degli Stati Uniti. Formiche.net ha raggiunto telefonicamente Bindi nella capitale statunitense per analizzare la politica estera del futuro inquilino della Casa Bianca.

Biden sarà il secondo presidente cattolico dopo John Fitzgerald Kennedy. La sua fede potrebbe essere d’aiuto per i rapporti tra Stati Uniti e Santa Sede che durante questi quattro anni di Donald Trump sono deteriorati progressivamente?

Sicuramente le relazioni potranno migliorare, anche perché difficilmente potrebbero essere peggio di come sono adesso. Biden è un cattolico professante — e in questo è in qualche modo abbastanza diverso da Kennedy — ed è un cattolico progressista. Inoltre, conosce papa Francesco, ha partecipato all’inaugurazione del suo pontificato. Sono sicura che troveranno velocemente un terreno comune sul quale lavorare per tonare a buone relazioni, di cui c’è molto bisogno.

Negli ultimi tempi uno dei terreni di scontro tra Stati Uniti e Santa Sede è stata la Cina. Che cosa dobbiamo aspettarci da Biden?

Dal punto di vista degli americani, la questione Vaticano e quella Cina sono separate, e così sarà anche con un presidente cattolico.

Quindi la questione cinese è stata un pretesto per Trump?

Certo, è stata strumentale. Qualunque cosa possa portargli un vantaggio, lui la strumentalizza. È fatto così. Anche sulla Cina è stato ondivago in questi quattro ani.

Continuiamo prendendo spunto da un altro dato biografico di Biden. La moglie Jill è di origini italiane, un particolare spesso citato dai giornali nel nostro Paese. Inoltre, sono molti i politici, e non soltanto a sinistra, che hanno auspicato che i rapporti tra Stati Uniti e Italia possano rafforzarsi ulteriormente. Sarà così?

Joe ha sicuramente un rapporto di grande affetto verso l’Italia. È stato in Italia molte volte, anche dopo la morte del figlio Beau per il Giorno del ringraziamento. Ma detto questo, non cambiano le relazioni. Negli anni la reputazione italiana è andata via via calando. L’Italia ha avuto durante la Guerra fredda un ruolo privilegiato essendo un Paese di cerniera. Ma finita la Guerra fredda nessuno si è reso conto che quel ruolo si sarebbe esaurito velocemente e non ci si è riposizionato strategicamente. Abbiamo avuto una seconda chance nel Mediterraneo ma l’abbiamo giocata malissimo. E non siamo attori credibili. Quindi, non dipende da Biden ma dall’azione del governo italiano.

Sembra invece che la Germania abbia puntato su Biden. Verrà premiata la scommessa della cancelliera Angela Merkel?

I quattro anni di Trump sono stati terribili per l’Europa. Ma hanno rappresentato anche un’opportunità: se avesse voluto avrebbe potuto giocare un ruolo maggiore a livello internazionale. Questo non è successo e così tutto il peso delle relazioni internazionali è ricaduto sulle spalle di Merkel. Avere un interlocutore credibile e che conosce bene le fa tirare un sospiro di sollievo. Il problema è che se non si ristabilisce l’asse tra l’Unione europea e gli Stati Uniti alla fine affondiamo tutti e due lasciando prevalere Russia e Cina. Per questo a Berlino sono particolarmente felici dell’elezione di Biden.

È la fine degli sforzi per raggiungere un’autonomia strategica europea?

Chi la cercava, ha avuto quattro anni per trovarla. E non ce l’ha fatta. I quattro anni di Trump hanno messo in chiaro che l’Europa non ha capacità strategica autonoma.

Parliamo della squadra di governo di Biden. È già partito il totonomi. La sfida più grande sarà quella trovare un equilibrio tra i moderati e l’ala più radicale.

Metà delle persone che conosco pensando di fare il segretario di Stato in questo momento (ride).

C’è una grande corsa a salire sul carro del vincitore?

Adesso si aprono le danze e sarà divertente assistere. Credo che Biden metterà qualche repubblicano moderato nella sua squadra di governo e a Bernie Sanders affiderà qualcosa come l’Educazione, probabilmente non la Salute come lui chiede. Ci saranno poi sicuramente almeno due esponenti di spicco della comunità afroamericana. In questo momento stanno tutti sgomitando.

Spostiamoci dall’altro lato. Il trumpismo è un fenomeno destinato a rimanere?

Il dato che fa più riflettere di queste elezioni è che ci sono almeno 10 milioni di persone, a stima, che non hanno votato Trump nel 2016 ma l’hanno questo quest’anno. Questo vuol dire che le fratture all’interno della società americana non soltanto non si sono mai sopite ma stanno peggiorando. A volte non ci si rende conto che negli Stati Uniti basta uscire dalle città per trovare una povertà bianca terrificante, che spesso non si vuole neanche troppo vedere. Gli afroamericani pensano che la povertà sia solo afroamericana, lo stesso pensano i latini e i bianchi di sé. Questo alimenta un risentimento nei bianchi covato negli otto anni di Barack Obama. Come cambiare questa dinamica è difficile: l’accesso all’educazione e quello alla sanità sono sempre più cari. L’integrazione è la sfida, altrimenti tra quattro anni saremo di nuovo al punto di quattro anni fa. Trump non ha creato questa situazione, ci ha soffiato sopra.


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