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Sinistra, sveglia! Con Kerry torna anche il nucleare. Scrive Tabarelli

Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, commenta la scelta di John Kerry come inviato Usa per il clima e avverte la sinistra europea: come molti ambientalisti americani, ha riconsiderato il ruolo del nucleare nel percorso verso la decarbonizzazione

Potrebbe sembrare una provocazione, certamente fa irritare l’altra metà degli Stati Uniti che ha votato Donald Trump e che ha sempre creduto che il cambiamento climatico sia un’invenzione, roba da bicoastal elite, quella occidentale della ricca California e quella orientale della tecnocrazia federale. La nomina di John Kerry ad inviato speciale per il clima, già il titolo è ambizioso, riafferma l’impegno di Joe Biden per ripristinare quanto aveva cancellato Trump e tornare alla politica di Barack Obama sul clima. Kerry, già segretario di stato di Obama, conosce bene il clima, ha firmato per gli Stati Uniti l’accordo di Parigi del dicembre del 2015, quello da cui uscì Trump.

Da anni le questioni che ruotano intorno all’energia e all’ambiente sono diventate, fra le tante, argomento di polarizzazione dei due schieramenti. Tradizionalmente era il petrolio il motivo principale della contrapposizione, con i suoi finanziamenti massicci ai repubblicani. Negli anni è diventato il clima, con le sue politiche che finiscono con penalizzare le industrie e i posti di lavoro degli Stati Uniti. La nomina di Kerry non aiuta un riavvicinamento delle posizioni. Biden ha deciso anche di dargli un posto nel Consiglio per la sicurezza nazionale, la prima volta per un incaricato sul clima, perché la dimensione del problema secondo i democratici è internazionale e molto meno nazionale, quasi per niente economica o industriale.    

Kerry è un veterano della diplomazia internazionale, segretario di stato di Obama dal 2013 al 2017, ma non gli sarà semplice rientrare, perché dovrà comunque impegnarsi con gli altri, a cominciare da un aumento della tassazione dell’energia o dall’inseverimento dei limiti sui consumi di benzina delle auto americane, entrambe decisioni che finiranno per esporre l’amministrazione a facili attacchi dei repubblicani. Molti democratici, speriamo non Biden né Kerry, non sanno quanto sia distante il sistema energetico americano dagli standard europei e di quanto si possano innervosire gli elettori sulla questione. Le macchine americane consumano circa il 30% in più di quelle europee e la prima ragione è che il prezzo della benzina ha tasse irrisorie, circa 10 centesimi al litro, contro gli 80 centesimi in Italia. Già Bill Clinton nel lontano 2000, quando il prezzo del petrolio era ancora a 20 dollari per barili, aveva provato ad aumentare di soli 10 centesimi di dollaro i prezzi, per stimolare un po’ di efficienza, ma fu una pessima idea, una di quelle che portarono il suo vice, Al Gore, a perdere la sfida presidenziale con George W. Bush. Poi, sempre contro Bush, nel 2004 perse le elezioni anche John Kerry, il settantasettenne (un po’ vecchio per l’ambiente) senatore del Massachusetts, che oggi ritorna in pompa magna sul clima.

Le emissioni di CO2 degli Stati Uniti negli ultimi anni sono scese del 10% grazie soprattutto alla forte sostituzione del carbone nelle centrali elettriche con gas naturale, i cui prezzi sono crollati e diventati convenenti grazie all’abbondanza di produzione da quell’industria del petrolio che è nel mirino dei democratici. L’industria del fracking è gestita in maniera disordinata, con regole ambientali molto rilassate e soprattutto emette enormi volumi di gas metano che aggravano l’effetto serra. Vedremo se Biden e Kerry porteranno sul piatto dei negoziati, gestiti nei prossimi mesi anche dall’Italia nel G20, qualche sacrificio per la  loro industria petrolifera.  

Ma la notizia di Kerry è positiva per l’industria del nucleare. Infatti, come sta capitando da un po’ di anni fra gli ambientalisti americani, anche lui ne ha riconsiderato il ruolo nel percorso verso la decarbonizzazione. Nel gennaio 2017, mentre stava lasciando con Obama il posto a Trump, ha pubblicamente affermato all’MIT del suo Massachusetts, che il nucleare è indispensabile per raggiungere gli obiettivi di Parigi e ha citato l’esperienza dei piccoli reattori sulle navi della marina americana, di cui lui è stato ufficiale. Questa è una bella notizia, perché di certo le rinnovabili da sole non ce la possono fare e di questo è meglio che anche la sinistra del Vecchio Continente ne prenda atto, velocemente.

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