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La Libia tra successi, ombre e criticità. Il punto di Ruvinetti

Di Daniele Ruvinetti

Riapertura della produzione petrolifera e avvio dei colloqui di negoziati tra Tripolitania e Cirenaica. Successi verso la stabilizzazione libica, che però si portano dietro anche molte ombre e ancora criticità. Le contromisure secondo Ruvinetti, strategic advisor esperto di Libia

Da una parte la riapertura della Mezzaluna petrolifera e il cessate il fuoco permanente, dall’altra le defezioni dal forum sul dialogo politico di Tunisi e la partenza in salita della conferenza di Djerba sui futuri assetti istituzionali. È un orizzonte in chiaroscuro quello che si addensa sui cieli libici, dove ai successi raggiunti tra la metà di settembre e quella di ottobre, hanno fatto seguito alcuni passi falsi che rischiano di far deragliare il processo di stabilizzazione del Paese.

I SUCCESSI

Il primo importante risultato che è stato raggiunto riguarda la ripartenza di produzione ed esportazione petrolifera grazie al negoziato portato avanti da Ahmed Maetig e Khalifa Haftar, con la benedizione di Russia, Turchia e, seppur con le cautele del caso, degli Stati Uniti. Un successo consolidato con l’imminente creazione di una commissione congiunta per gestire i proventi del petrolio. Si tratta di un’intesa che in qualche modo ha sbloccato l’impasse in cui si erano arenati tutti gli altri sforzi di dialogo intra-libico. E alla quale, a stretto giro di posta, ha fatto seguito l’accordo di Ginevra della commissione dei 5+5 (cinque alti esponenti militari per ognuna delle due fazioni in guerra) sul cessate il fuoco permanente a 18 mesi dall’ scoppio della guerra civile. Un successo che ha messo d’accordo tutti tranne la Turchia, e che ha visto un ritrovato attivismo degli Stati Uniti i quali, senza sponsorizzare alcuna componente interna, hanno spinto su una ripresa vigorosa del dialogo intra libico e per una progressiva riduzione delle interferenze esterne. Lo stesso segretario di Stato, Mike Pompeo, si è pronunciato in questo senso dando un forte sostegno alla connazionale Stephanie Williams in veste di capo ad interim di Unsmil. La Russia dinanzi al ritrovato attivismo Usa ha voluto avere chiarimenti dalla stessa Williams, la quale è andata a Mosca dove ha incontrato il ministro degli Esteri. Serghiei Lavrov, fornendo rassicurazioni in vista della ripresa di Ginevra 5+5, Forum sul dialogo politico libico di Tunisi (ma che si tiene in forma virtuale) e sugli incontri di Djerba del 9 novembre.

Appuntamento quest’ultimo in cui si dovrebbero decidere i nuovi assetti istituzionali: un nuovo consiglio presidenziale a tre membri (un presidente e due vice) e un primo ministro separato che guida l’esecutivo (oggi Sarraj è sia presidente che premier del Governo di accordo nazionale). Si tratterebbe di una procedura per la quale serve emendare gli accordi di Skhirat e pertanto deve essere recepita con risoluzione del Consiglio di sicurezza, nel quale la Russia ha il diritto di veto. La capa della missione Onu ha incassato l’appoggio di Mosca rassicurando su eventuali ingerenze esterne (Turchia e Usa) e interne (specie sull’esperienza della fratellanza musulmana che il Cremlino non gradisce molto). I Turchi sono i meno contenti, l’accordo mette in discussione gli investimenti militari che hanno fatto in Libia, perché è previsto il ritiro di mercenari (sia dall’una che dall’altra parte) e forze straniere regolari. Questo comporterebbe la sospensione delle attività di addestramento alle unità libica da parte di quelle turche come previsto dagli accordi tra Ankara e Tripoli. In questo modo Recep Tayyip Erdogan dovrebbe richiamare armamenti e soldati vanificando gli sforzi compiuti nell’ultimo anno di avere una presidio permanente in Tripolitania. Ed ecco perché Ankara si è affrettata a ridimensionare l’accordo definendolo di “basso livello”.

LUCI E OMBRE

A conti fatti il successo di Ginevra ha consolidato il ritorno sul campo del generale Haftar, già riemerso come protagonista delle vicende libiche con l’intesa sul greggio, dopo essere stato di fatto marginalizzato con la fine del conflitto. È stato proprio questo primo accordo a rivelarsi apripista per il successo di Ginevra e per il dialogo intra libico, come dimostra il fatto che i leader delle tribù dominanti nei territori controllati da Haftar sono andati a Misurata, la città del vicepresidente del Gna, Maetig, per trattare con i leader capi delle tribù locali sulla liberazione dei prigionieri, sulla ripresa dei voli Tripoli-Bengasi e la riapertura della grande strada litoranea che congiunge Cirenaica e Tripolitania. Il ritorno di Haftar ha messo inoltre in parziale ombra il presidente del Parlamento di Tobruk, Aguila Saleh, emerso nei mesi scorsi come interlocutore di riferimento dell’Est, specie in quel tentativo di dialogo con l’ovest attraverso le intese col presidente dell’Alto Consiglio di Stato, Khaled al-Mishri. Tanto che cominciano a circolare voci su una possibile inversione rispetto alle attese in cui si parlava di Saleh come presidente nei nuovi assetti istituzionali. Adesso sembra che la carica possa essere ricoperta da un candidato dell’Ovest mentre all’Est spetterebbe quella di primo ministro, che tuttavia non andrebbe ad Aguila. A quanto sembra neppure per al Mishri ci sarebbe spazio nei futuri assetti, questo per la sua vicinanza alla fratellanza musulmana che disturba Russia, Emirati ed Egitto, sebbene il Cairo abbia mostrato negli ultimi tempi un approccio più morbido con la Tripolitania e con le fazioni meno islamiste di Misurata (ovvero Maetig). Del resto, sembra che Williams in merito al cessate il fuoco permanente abbia ringraziato un po’ tutti gli attori di riferimento tranne Mishri, proprio per quel ruolo di argine sulle ingerenze della fratellanza musulmana di cui si era fatta garante con la Russia e non solo.

LE CRITICITÀ

Dopo i due passi in avanti compiuti, è emersa una problematica assai spinosa in merito al successivo passaggio quello relativo al forum di Tunisi. Il nodo è nella lista dei 75 partecipanti al dialogo allargato tra i quali almeno venti sarebbero riconducibili alla fratellanza musulmana, come ha denunciato il parlamento di Tobruk. La Cirenaica, ma anche qualche altro nel resto del Paese, non vuole sedersi al tavolo con coloro che vengono definiti terroristi, così come gli islamisti non vogliono saperne nulla di Haftar che considerano un criminale di guerra. Il punto è che il generale non è iscritto nella lista dei 75 emissari. A complicare il quadro è stato il ministro degli Interni del Gna, Fathi Bashaga, considerato anche lui vicino alla fratellanza musulmana (formazione a cui si ispira il sultano Erdogan). Il quale ha firmato un memorandum col Qatar sulla cooperazione nel campo della sicurezza e della lotta al terrorismo. Intesa che “viola i risultati del dialogo di Ginevra della commissione 5+5”, dice il portavoce dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna), Ahmed al Mismari. Elementi questi che fanno emergere già i primi complicati disaccordi sul dialogo politico in Tunisia, tanto che da più parti si è invocato il ritiro dei membri “non graditi” pur di evitare defezioni o addirittura minacce di tornare alle armi. Uno scenario che rischierebbe di far franare gli sforzi delle Nazioni Unite e della comunità internazionale per riunire tutti i libici sotto un’unica autorità che prepari le elezioni parlamentari e presidenziali al termine della fase di transizione del Paese.

LE CONTROMISURE

Per trovare un rimedio i negoziatori sono impegnati in una corsa contro il tempo, a partire da Stephanie Williams, che ieri è stata in visita in Turchia per colloqui con il ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu sugli “attuali sviluppi” nel Paese nordafricano. L’obiettivo è prima di tutto convincere Ankara sulla sostenibilità del cessate il fuoco tra le parti libiche mediato proprio dall’Onu. Non è escluso poi un ritorno della numero uno di Unsmil in Russia e, forse, in Egitto. Allo stesso tempo, su forte richiesta di alcuni Paesi europei, Italia compresa, Fayez al Sarraj ha deciso di rimanere in carica sino alla formazione di un nuovo governo, anche oltre la scadenza di fine ottobre che si era prefissato. Una scelta di responsabilità politica obbligata per consentire di proseguire gli sforzi di dialogo e non creare vuoti di potere come menzionato negli appelli della Camera dei rappresentanti, del Consiglio di Stato, della missione Onu e di Paesi amici. Una decisione che, almeno questa volta, sembra aver messo tutti d’accordo, o quasi.

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