Cosa c’è e cosa no nella manovra da 38 miliardi anti-Covid. Con un dubbio: riuscirà la legge di Bilancio a invertire la rotta della recessione? L’analisi di Giuseppe Pennisi
Con un ritardo di circa un mese – le regole del semestre europeo contemplano che sarebbe dovuta arrivare il 20 ottobre – il disegno di legge (ddl) di Bilancio approda oggi 17 novembre Santa Elisabetta d’Ungheria, in Parlamento. Una prima riflessione è a livello macro-economico: il ddl di Bilancio rispecchia perfettamente la Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza (Nadef), ma dalla stesura del Nadef ad oggi, a causa della seconda ondata della pandemia il quadro economico è drasticamente cambiato.
Ad una contrazione del Pil almeno del 10% nel 2020, ne farà seguito una seconda almeno del 5% (non una ripresa del 6% come previsto nel Nadef). Di conseguenza, come già sottolineato da Mario Baldassarri, una manovra di 38-40 miliardi rischia di non essere affatto anticiclica. Ce ne sarebbe voluta una di 100 miliardi, unitamente ad un’azione a livello europeo per sterilizzare il debito dovuto alla pandemia. E soprattutto si sarebbero dovuti prevedere investimenti pubblici, che ancora una volta latitano.
Una proposta sul debito è stata lanciata cinque anni fa dall’economista francese André Grjebine nel libro La dette publique et comment s’en débarrasser: désendetter les États européens sans compromettre la croissance, c’est possible! (Presse Universitaire de France,2015). La rilanciò di recente, a doppia firma con Paul De Grawe ora alla London School of Economics, dalle colonne di Le Monde. Consiste essenzialmente nell’annullamento, più o meno mascherato, da parte della Banca centrale europea dei propri crediti nei confronti delle Banche centrali nazionali dell’Eurosistema. Un’Italia che avesse meglio affrontato la preparazione dell’utilizzazione del Resilience and Recovery Fund (secondo le linee di un recente lavoro di Marco Buti e Marcello Messori) avrebbe avuto maggior voce in capitolo anche su questo fronte. Il ddl di bilancio può essere ritoccato a questo riguardo sotto gli aspetti istituzionali.
Sempre a livello macro, al momento in cui viene redatta questa nota, non è dato sapere se il ddl che arriverà in Parlamento, prevederà l’istituzione di un Comitato Nazionale per la Produttività di cinque componenti, con una segreteria tecnica di 15 esperti presso il ministero dell’Economia e delle Finanze con compiti di studio ed analisi per valutare le opzioni di politica economica per aumentare la produttività. I componenti del Comitato restano in carica per sei anni. Ovviamente, i componenti del Comitato (di cui già si mormorano i nomi) sono retribuiti e così pure la loro segreteria tecnica. Pare si tratti di un adempimento di un impegno europeo. Ed è arcinoto che quando non si riesce a risolvere un problema si crea un comitato che lo studi e faccia proposte. In Italia la produttività non cresce o quasi dalla fine degli Anni Novanta del secolo scorso. 15 esperti.
Il Comitato ha precedenti illustri. Un Comitato Nazionale per la Produttività operò dal 1953 al 1959 presso la Presidenza del Consiglio ma su iniziativa principalmente di industriali cattolici; tra i suoi animatori (tutti a titolo rigorosamente gratuito) Agostino Gemelli, Pietro Campilli, Giulio Pastore. Nel 1959, venne sciolto ma allora la produttività volava.
Esistette a lungo anche un Istituto Nazionale per la Produttività (Inp), che aveva la sede in quel di Via Pastrengo, di fronte agli uffici del ministro dell’Economia e delle Finanze, in quello che un tempo era chiamato il Palazzo di Vetro, che ospitava i grandi magazzini Cim ed il Cinema Capitol (il primo a Roma ad avere il Cinemascope). Lo visitai circa cinquanta anni fa perché la Banca mondiale, dove ero giovane funzionario mi chiese di sollecitare – passando qualche giorno in Italia nel corso di una missione in Estremo Oriente- istituzioni italiane perché giovani connazionali venissero incoraggiati a partecipare al concorso semestrale per Young Professionals.
Dopo incontri in Bocconi ed alla Sapienza, venni indirizzato dalla Farnesina a tale istituto che per loro conto segnalava italiani presso le organizzazioni internazionali. In un freddo gennaio, ricordo due gelide stanze con due anziani signori incappottati che mi spiegarono che l’Inp era stato istituito alla fine degli Anni Trenta al tempo delle “inique sanzioni”; per evitare che fosse incluso tra gli “enti inutili”, in odore di chiusura, gli era stata data la funzione di indirizzare italiani presso enti internazionali in modo che al rientro fossero più produttivi. Seppi che venne, poi, dichiarato “ente inutile”.
Un esempio straniero viene raccontato dallo storico Orlando Figes nel lavoro La tragedia di un popolo. La rivoluzione russa 1891-1924 (Mondadori, 2017) pp.832-833. Lenin creò un comitato del genere, con una struttura, per individuare una strada scientifica all’aumento della produttività e la affidò ad un suo sodale. Dopo due anni, accortosi che complicava tutto, epurò tutti gli addetti.
Sotto il profilo micro, i 228 articoli in 236 pagine contengono di tutto e di più per accontentare questo e quello anche istituendo nuove SpA «in house» a questo od a quel ramo della Pubblica amministrazione. Ce ne occuperemo di volta in volta.