L’invito lanciato da Emmanuel Macron a pensare sovranità e strategia europea rappresenta un utilissimo richiamo che va però subito preso al volo, anche per illustrarne le contraddizioni. Speriamo che prima o poi qualcuno impari che le contraddizioni non rappresentano di per sé un problema ontologico. L’analisi di Jean Pierre Darnis, professore associato Université Côte d’Azur (Nice), consigliere scientifico Iai Roma e ricercatore associato Fondation pour la Recherche Stratégique (FRS, Paris)
Nella lunga intervista accordata a Le Grand continent, rivista emergente nel campo della geopolitica francese promossa da studenti della Scuola Normale superiore di Parigi, viene presentata una “nuova dottrina” della presidenza francese in materia di politica internazionale. Lo sforzo di esposizione è notevole, con un testo lungo e piuttosto dettagliato e una visione organica delle relazioni internazionali. Da questo punto di vista, illustra una capacità e una volontà di pensare il mondo ma anche di posizionare la Francia nel contesto movimentato del mondo pandemico e della transizione Trump-Biden. Vi è presente un forte invito a concepire una strategia europea, uno sforzo lodevole che riprende tra l’altro un processo virtuoso che fu quello della “strategia europea di sicurezza” adottata nel 2003 dopo l’iniziativa dell’allora commissario Javier Solana. La versione successiva, quella strategia “globale” sviluppata da Federica Mogherini nel 2016, prolungava poi questo sforzo anche se con una relativa diluzione del soggetto europeo nelle tematiche globali. Il testo di Macron esercita un richiamo a pensare l’Europa in modo strategico e si annovera nella continuità dei dibattiti sulla “sovranità europea”, fortemente rilanciati dalle percezioni legate alla crisi del Covid-19.
Un altro punto fondamentale sta nella presa di posizione sulla sovranità europea: secondo Emmanuel Macron esiste una sovranità europea, una forma di creazione “transitiva” ma che non rappresenta una sovranità “vera” perché non vestfaliana. Il presidente francese compie così un passo intellettuale assai ardito quando afferma da una parte che esistono già delle forme di sovranità europee ma che non debbono essere considerate come veramente vere. In modo analitico possiamo quindi rilevare che anche Macron e il suo team hanno capito che esistono forme di sovranità nuove a livello europeo, che nulla tolgono alle saldissime sovranità nazionali, ma che creano nuovi paradigmi.
Invece di celebrare l’opportunità di giocare sui vari livelli di sovranità però, ovvero fra una sovranità “ibrida” e quella più classica proveniente degli Stati membri, è come se la squadra diplomatica dell’Eliseo non riuscisse a compiere questo passo di pragmatica flessibilità e quindi si ritrovano a dover rifiutare quello che è fondamentalmente un modello francese, ovvero un’idea di sovranità strettamente associata al monopolio della forza. Questa “nuova strategia” quindi ripropone il vecchio modello di “Europa Potenza” già in auge sotto Jacques Chirac, che a sua volta copia a livello europeo un modello francese.
L’ironia della sorte inoltre, fa sì che questo modello del richiamo a una maggiore sovranità europea trovi anche interpreti in Europa fra le forze nazionaliste, tradizionalmente avverse all’influenza e alla cultura francese.
L’intervento di Emmanuel Macron rappresenta tra tante cose anche un invito ad approfondire i concetti di sovranità e di autonomia strategica in Europa, una necessità dinanzi alla percezione della competizione mondiale con altri Paesi, come la Cina o gli Stati-Uniti. Ma la questione non può essere risolta con l’estensione di sovranità, immaginata da Macron. Prima di tutto siamo in Europa lontani dal paradigma di Norbert Elias, quello dell’estensione del monopolio della forza come chiave di interpretazione della dinamica dell’Occidente, perché non esistono più le condizioni e la volontà dell’egemonia. Alcuni fautori della scuola geopolitica pensano che ormai l’egemonia si eserciti nel campo economico e non più militare, il ché darebbe una validità a delle analisi che ad esempio propongono la Germania come potenza egemone in Europa. Ma queste analisi sono davvero molto limitate, in quanto non tengono conto delle costituzioni e degli assetti politici che rimangono un fattore primario e rendono impossibile questo concetto fra i Paesi dell’Unione Europea.
Un altro problema non da poco per la logica della “sovranità europea” alla francese si trova nell’impossibilità di portare avanti questo tipo di riforma europea. Se si vuole ottenere una sovranità di tipo vestfaliano a livello europeo, allora bisogna creare una sovranità superiore a quelle nazionali, che semmai andrebbero smantellate. Questa strada sembra poco praticabile perché non prende in conto né i fautori della sovranità nazionale che non vogliono minimamente cedere potere al livello europeo, ne quelli che diffidano di modelli di esercizio della potenza ritenuti troppo autoritari, anche per il carattere federale delle loro costituzioni interne.
In modo pragmatico bisognerebbe invece osservare come le sovranità nazionali e le sovranità europee, ibride o “transitive” per dirla con Macron, possono creare un gioco a somma positiva a vantaggio di tutti, nel quale la richiesta di maggiore sovranità e di posizionamento internazionale più competitivo può essere soddisfatta con un obbiettivo di miglioramento delle tutele. Certamente sarebbe necessario definirne meglio i perimetri fra istituzioni europee e Stati membri, ma anche evitare le prese di posizione troppo assolute che rifiutano queste soluzioni europee.
L’invito lanciato da Emmanuel Macron a pensare sovranità e strategia europea rappresenta dunque un utilissimo richiamo che va però subito preso al volo, anche per illustrarne le contraddizioni. Speriamo che prima o poi qualcuno impari che le contraddizioni non rappresentano di per sé un problema ontologico, ma definiscono quello spazio ibrido, in perpetua evoluzione, che rappresenta l’Europa, un modello che da questo punto di vista ha dimostrato grande resilienza e quindi anche capacità di essere proiettato nel futuro.