Skip to main content

Mar Egeo teatro di crisi. Grecia e Turchia a rischio scontro

Di Biagino Costanzo

La crisi tra due Paesi, europei e addirittura membri della Nato, continua ad acuirsi. Anche l’Italia dovrebbe intervenire affinché la situazione non sfugga di mano

Mentre il mondo intero ed in particolare l’Europa, vivono una stagione di profonda crisi presi da una inedita emergenza pandemica e solo soltanto dai propri problemi domestici, nel Mar Egeo venti di crisi si alimentano.

La crisi tra due Paesi, europei e addirittura membri della Nato, Grecia e Turchia continua ad acuirsi.

Come è noto le acque in questione vedono soprattutto la presenza di isole greche, vicine alla frontiera turca e sono ricche di gas e la delimitazione delle rispettive zone economiche esclusive è fonte da sempre di controversia tra Turchia, Grecia e Cipro.

La Turchia a sostegno delle sue tesi afferma di avere la costa più lunga del Mediterraneo ad oriente, ma di fatto la sua zona marittima è racchiusa è di fatto delimitata in uno spazio di acque ristretto proprio a causa della piattaforma continentale greca. Basti pensare all’isola di Kastellorizo, che si trova a circa 2 km dalla costa meridionale della Turchia e a 570 km dalla Grecia continentale.

Inoltre per i greci quel mare è “naturalmente” loro. Facciamo un salto all’indietro nella leggenda.

Il mare Egeo prende il suo nome da Egeo, re di Atene e padre di Teseo (a sua volta futuro re di Atene). La leggenda narra che Pasifae, la moglie del re cretese Minosse, generò da un toro un mostro, il Minotauro, dal corpo umano e dalla testa taurina. Il Minotauro fu rinchiuso nel Labirinto, progettato dall’architetto Dedalo, dal quale era impossibile uscire.

Soggetti al dominio di Creta, gli Ateniesi erano costretti a pagare un pesante tributo: ogni nove anni dovevano inviare sette fanciulli e sette fanciulle in pasto al Minotauro.

Teseo, venuto a conoscenza della cosa, volle far parte del gruppo delle vittime; il suo scopo era quello di uccidere l’orrendo mostro. Prima di partire, Teseo promise al padre Egeo che se tutto fosse andato secondo le previsioni, avrebbe comunicato dall’orizzonte il suo successo inalberando una vela bianca in segno di vittoria.

La nave partì come aveva già fatto tante volte: con le vele nere, simbolo di dolore e di lutto. Giunto a Creta, Teseo accettò l’aiuto di Arianna, la figlia di Minosse, che si era innamorata di lui. La principessa consegnò all’eroe un gomitolo da srotolare man mano che si inoltrava nei meandri tortuosi del Labirinto, così da non smarrire la via del ritorno; in cambio dell’aiuto prestato, Arianna aveva ottenuto da Teseo la promessa di essere portata con lui ad Atene e sposata. Ucciso il Minotauro e uscito dal Labirinto grazie al filo di Arianna, Teseo si imbarcò alla volta di Atene, portando con sé Arianna. Però da spergiuro l’abbandonò sull’isola di Nasso (da cui l’espressione “piantare in Nasso”, divenuta “piantare in asso”). La fanciulla, sedotta e abbandonata, maledisse l’eroe ateniese e la sua maledizione colse nel segno. Teseo, infatti, dimenticò di cambiare le vele come promesso al padre Egeo; questi, avvistata l’imbarcazione con le vele ancora nere, credette il figlio ucciso e si gettò dall’alto di una scogliera nel mare che da lui prese il nome: il mare Egeo.

Questa la leggenda ma tornando ai giorni nostri, è necessario non sottovalutare la tensione che aumenta sempre più nell’area. La Turchia ha mosso la sua nave di ricerca Oruc Reis per raggiungere le acque mediterranee contese con la Grecia. Il Navtex lanciato dalla Turchia lunedì sera ha annunciato l’invio della Oruc Reis nelle acque a sud dell’isola greca di Kastellorizo. La nave è posizionata in acque internazionali circa 64 km a sud dell’isola. Una zona dove è assai improbabile che possano essere fatte rilevanti scoperte energetiche: il posizionamento equivale quindi a una mossa politica in questa rischiosa partita a scacchi tra i due paesi. Infatti in seguito la Grecia ha annunciato l’avvio di esercitazioni militari sull’isola di Chios, la Turchia ha risposto denunciando la violazione del trattato di Losanna e della smilitarizzazione delle isole greche vicine.

Ma il Paese ellenico sta dimostrando solidità nei confronti del comportamento “bullista” del presidente turco Erdogan, non tollerando oltremodo il comportamento di Ankara e pone come condizione per eventuali negoziati l’allontanamento di ogni nave turca dalle acque contese. In questo modo, Atene gioca la sua partita puntando su uno status quo che la vede in posizione ampiamente favorevole, mentre forza la mano turca a strappi e mosse non convenzionali.

È in questo quadro che l’Europa e anche l’Italia dovrebbero intervenire affinché la situazione non sfugga di mano.

Non possiamo dimenticare che fin dagli albori della Storia il Mediterraneo Orientale è stato culturalmente, economicamente e politicamente fondamentale per la nostra Penisola, basti pensare al XIII e XVII secolo quando la Repubblica di Venezia fu il centro di gravità della potenza militare ed economica del Mediterraneo Orientale.

Inversamente oggi l’Italia non sembra osservare con la dovuta attenzione alle evoluzioni in atto nell’area.

Di fatto nell’ultimo decennio il Mediterraneo Orientale è divenuto teatro di una difficile partita geo-politica che vede impegnati altri principali attori mondiali.

Il progressivo, negli anni, disinteresse statunitense acuitosi con l’amministrazione Trump, ha fatto emergere naturalmente altri protagonisti regionali o non e ha portato, per esempio, la Russia ad avere una presenza navale stabile, prima imponendosi come abile negoziatrice della crisi siriana, poi è divenuta attrice principale di quella libica e non si esclude affatto che prenda posizione in merito alla crisi greco-turca al fianco di partner quali Egitto, Grecia e Cipro.

Spostandoci inoltre in Libano, a seguito della tragica esplosione dello scorso 4 agosto che ha ferito quasi mortalmente Beirut, e ha scosso profondamente la popolazione, azzerando le potenzialità portuali, ci sono conseguenze anche geo-politiche rilevanti, anche positive, come l’avvio di un radicale processo di rinnovamento del Paese dei cedri con la conseguente rinascita di un Paese meno succube di Teheran e Damasco e con rapporti meno conflittuali con Israele.

Tutto questo dovrebbe star a cuore all’Italia, il Libano avrà bisogno di tanto aiuto esterno e noi non possiamo esser sempre distratti. Ricordiamo che sin dall’invio della Multi National Force (MNF) nel 1982 e poi soprattutto dopo il 2006, l’Italia a livello militare si è sempre impegnata, a favore della stabilità del Libano ed ha oggi la maggiore presenza in forze nell’Unifil. Purtroppo, questo impegno militare non trascurabile sembra disconnesso dalla politica estera nazionale.

E intanto Macron, come ha testimoniato il successo della sua visita a Beirut a meno di 48 ore dopo l’esplosione, non è andato solo piangere i morti ma immediatamente formulato proposte concrete per la ricostruzione, caldeggiando la nascita di una commissione d’inchiesta sull’esplosione e convocando una “conferenza internazionale dei donatori”, ufficialmente in collaborazione con l’Onu. Ancora una volta la Francia ha saputo dimostrare coerenza in politica estera e di Difesa mandando un forte segnale, mostrando la determinazione e la leadership di Parigi ai paesi che si affacciano sul Mediterraneo.

Certo Parigi è stata potenza mandataria del Libano 1923 al ’46 e ha sempre mantenuto rapporti solidi nel Paese e la sua reazione tempestiva ha assicurato alla Francia un grandissimo successo politico.

Spazio a parte dovremmo dedicare ai rapporti odierni tra Francia e Turchia in seguito al brutale, vile attentato del professore francese Samuel Paty, con la conseguente giusta risposta del Presidente Macron, (mirabile il suo discorso ai funerali del docente) e al duro scontro con il presidente turco Erdogan, che fa di tutto per alimentare scontri ideologici e guerre di religione con parole esecrabili e proprio in queste ore l’escalation delle tensioni vede la Francia di nuovo sotto attacco da cani sciolti sì ma ben radicalizzati che seminano vittime a Nizza.

Concludendo quindi, anche in Libano, l’Italia, ripeto, avrebbe potuto fare ciò che hanno fatto altri Paesi, o quanto meno muoversi per tempo.

In Libia, Libano, Siria, Mar Egeo, l’Italia rischia di venir percepita come assente o quanto meno passiva su tutti i dossier caldi, in quello che una volta definivamo “Mare nostrum” .

Non è più tollerabile non fare una scelta di campo per non abdicare irrimediabilmente a qualsiasi ruolo di rilievo, che in politica estera e per i rapporti internazionali tra Stati, sullo scacchiere mondiale, significa per il futuro ma anche per il presente, aggiungere alle tante difficolta che viviamo, anche irrilevanza strategica, politica e soprattutto economica.

×

Iscriviti alla newsletter