Nel suo libro fresco di stampa, Mario Nanni per raccontare i rapporti dialettici tra politici e giornalisti nei corridoi dei passi perduti dei Palazzi di Camera e Senato, ricorda che le categorie sono entrambe rappresentative di qualcosa. La rubrica di Pino Pisicchio
C’è un passaggio illuminante del libro fresco di stampa di Mario Nanni “Parlamento sotterraneo” (“Miserie e nobiltà, scene e figure di ieri e di oggi”, ed. Rubettino), ed è quando, per raccontare i rapporti dialettici tra politici e giornalisti nei corridoi dei passi perduti dei Palazzi di Camera e Senato, l’autore ricorda che le categorie sono entrambe rappresentative di qualcosa. I parlamentari rappresentano, com’è noto, il popolo sovrano. I giornalisti la pubblica opinione e, aggiungeremmo, attraverso il loro ruolo di cani da guardia (watchdogs) della democrazia, la tenuta dello stesso ordine democratico. Per cui, dice il giornalista al deputato e al senatore: “Io non sono ospite in questo palazzo più di quanto non sia tu stesso”.
È una risposta definitiva ai ricorrenti tormentoni sulla pervasività della presenza dei giornalisti nei sancta Santorum della politica italiana: i divani del Transatlantico, il corridoio antistante la buvette del Senato, i ristoranti, le barberie, la sala di lettura dei quotidiani, insomma tutto quello che fa “status” per entrambe le categorie ma che, ai giornalisti parlamentari, permetterebbe anche di lavorare. Mario Nanni è uno che il Parlamento lo conosce bene: per 43 anni ha raccontato da giornalista parlamentare, capo del “politico” dell’Ansa, vita, morte e miracoli delle Repubbliche e dei loro attori, prime file ed anche loggioni, se poteva tornare utile alla notizia. Lui scriveva le cose che il giorno dopo andavano sui giornali, o qualche ora più tardi sui telegiornali. Insomma: Mario era la fonte.
E si vede che il suo linguaggio da scrittore deve nitore e fluidità proprio al lungo esercizio della responsabilità della notizia. Che è frutto di lavoro di ricerca, di intuizione, di capacità relazionali, di lealtà nei confronti delle fonti e, diciamolo pure, di conoscenza della lingua italiana. Qualità, quest’ultima, un po’ in disuso negli ultimi tempi, ma molto ben maneggiata da Nanni. Il suo libro, che è un godibilissimo puzzle di incontri ravvicinati del terzo tipo col Potere – quello ficcato nell’immaginario collettivo, non quello vero, perché quello ama stare, ormai, in altre e diverse stanze che non quelle parlamentari – ha un forte contenuto pedagogico. E per questo non starebbe male nelle scuole. Sì, perché la sua cavalcata di tre Repubbliche, il suo titillare tic e tabù del politico che abita i Palazzi della Repubblica è un modo, sapido e chiaro, di capire come veramente funziona. Non come dovrebbe o si presume che sia.
Con Mario Nanni sembra di entrare nella favolosa macchina del film di Zemeckis “Ritorno al futuro”: noi al posto di Marty McFly e Nanni nei panni del “Doc” Brown, a scorrazzare nel tempo, dalla fine degli anni settanta ai giorni nostri, incontrando “figure e figurine del mondo parlamentare”, come dice nel X capitolo l’autore. E incontriamo i giganti: Moro, Craxi, Spadolini, Berlinguer, tanto per fare qualche nome. La pedagogia di Nanni, allora, attraverso 19 svelti capitoletti, ci racconta dalle origini del fiume carsico mai completamente disseccato dell’antiparlamentarismo italiano, al senso non solo estetico del “decoro” parlamentare, al significato profondo dell’etica in politica.
Ma non trascura di soffermarsi su argomenti di procedura parlamentare, spiegando, dall’alto della sua lunga esperienza di cronista dei lavori delle Commissioni parlamentari, come hanno funzionato le commissioni d’inchiesta della P2 e le due su Moro. Particolarmente riusciti, poi, i quadretti che incastonano storie di delfinaggio e tradimento, quasi un topos scespiriano della politica, richiamando storie della Prima Repubblica – Manca e De Martino, Martelli e Craxi, Amato e Craxi – ma anche di quelle successive, visto che il tema resta ancora un evergreen della politica. Parlamento sotterraneo è un livre de chevet gustosissimo, da tenere a portata di mano come si tiene la Smorfia per interpretare i sogni.
È difficile però, per Nanni, nonostante la presa di distanze professionale dagli oggetti del racconto, eludere un sentimento che trabocca dalla sua penna, sincera e mai astiosa o partigiana: lui sta meglio con chi non sbaglia i congiuntivi e che, quando fa una battuta in latino, sa mettere le desinenze giuste. A rischio di apparire degli snobisti démodé, concordiamo pienamente con lui.