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Come uscire dallo stallo del Recovery Fund. L’analisi di Paganini

Oggi l’Europa che viene propagandata non esiste ancora. Esistono Paesi come Polonia e Ungheria con cui fare i conti; il Recovery Fund da finanziare con tasse europee; un Recovery Fund da investire in Italia, e non è ben chiaro come questo avverrà. L’analisi di Pietro Paganini, Competere

L’Europa che ci viene presentata come Stato non esiste. Opponendosi all’accordo per il Recovery Fund, Polonia e Ungheria ci dimostrano che l’Europa di cui si parla in giro è uno sogno, o semplicemente una speranza.

Se vogliamo risolvere alcuni dei problemi più complessi più velocemente, dobbiamo convincerci che, per ora, la Ue è ben diversa da come la immaginiamo. Essa non sostituisce ancora gli Stati nazione che la compongono, piuttosto li affianca in parte per favorire soluzioni nuove ed alternative, facilitare gli sforzi, rafforzare i ruoli, che altrimenti i singoli non sarebbero in grado di far maturare.

I governi di Polonia ed Ungheria sfruttano il meccanismo del veto per opporsi alle condizioni che gli altri Paesi dell’Unione vorrebbero associare al Recovery Fund: per avere accesso alle risorse che l’Europa mette a disposizione per superare la pandemia, gli Stati devono rispettare una serie di criteri che per comodità riassumiamo sotto la dicitura de il Governo della legge. La Rule of Law è la condizione principale su cui si fonda la liberaldemocrazia.

Dovrebbe essere un fattore necessario e imprescindibile per ciascun liberale: chiunque voglia appartenere alla grande famiglia europea deve attenersi a questa regola. Ma così non è; e da molto tempo, da quando cioè, alcuni degli attuali Stati membro della Ue si sono presentati ai vecchi soci per iscriversi al prestigioso club delle liberaldemocrazie che l’Ue ambiva essere. Purtroppo Polonia ed Ungheria non erano liberaldemocrazie allora (nel 2004), e non lo sono adesso.

Lo diventeranno mai? A questa domanda potranno rispondere solo i posteri, come noi stiamo rispondendo ora ad un altro quesito: l’Ue ha sbagliato allora ad accettare il loro ingresso. Come sta sbagliando in queste settimane ad imporre, improvvisamente, e apparentemente violando gli stessi trattati, la pretesa di comportamenti che in alcuni casi, non sarebbero rispettati nemmeno nel vecchio blocco Ue.

Con il senno di poi è facile: sì, l’Ue ha sbagliato ad affrettarne l’accesso. Vi era troppo entusiasmo; vi era la voglia di dimenticare il comunismo; vi era la volontà delle burocrazie di ingrassare (desiderio congenito e mai assopito); vi era troppa fiducia, come spesso accade, nel sogno. Ma l’Europa non può essere un sogno. L’Ue è progetto articolato in un percorso che si costruisce un pezzo alla volta, considerando i fatti e quindi anche gli ostacoli che ci si frappongono. Allora, fatti e ostacoli vennero messi da parte, anche furbescamente per inseguire il mito (dopo la caduta del muro di Berlino, è stato di moda farlo all’insegna della pretesa illiberale che la storia fosse finita).

All’epoca si era talmente invasati che molti spingevano per l’ingresso della Turchia. Vi ricordate? Immaginiamo cosa sarebbe successo con la Turchia nella Ue. Si potrebbe obiettare che (con il se e con il ma) sarebbe una Turchia diversa e avremmo evitato le difficoltà attuali. Un altro sogno. Non siamo riusciti a maturare il Governo della Legge tra i vecchi e nuovi soci della Ue, figuriamoci con la Turchia che in radice ha una cultura d’altro genere.

Il passato serva da esperienza, inutile rinvangarlo se non per evitare di ripetere i medesimi errori con nuovi aspiranti associati. Ora dobbiamo però, risolvere il problema dei soldi del Recovery Fund, di cui noi italiani soprattutto, abbiamo disperato bisogno, se consideriamo che il Governo attuale, in assenza di alternative serie, procede a debito. Niente soldi con lo stallo del Recovery Fund o niente Governo della Legge?

A Bruxelles troveranno un compromesso che sarà il solito pastrocchio delle burocrazie, ma che dobbiamo evitare, per scongiurare l’ennesima illusione. Sarebbe meglio convincerci che per questa volta, e per tante altre, visti gli errori del passato, dobbiamo accettare la condizione imposta da Polonia e Ungheria. Di fatto, a loro abbiamo consentito noi di porla. Semmai si dovrebbe meditare se non sia preferibile ricorrere ad un recesso dall’Ue di quei Paesi. Ma comunque ora non c’è tempo. Oggi, in epoca Covid-19, il finanziamento Ue, con i suoi problemi, serve con urgenza a tutti, a cominciare dall’Italia.

Nel frattempo, a chi ci governa e rappresenta dobbiamo rammentare che l’Europa va costruita, molto lentamente perché ce lo impongono le caratteristiche del suo progetto innovativo basato sui principi e non sul potere. Serviranno tempo, sacrifici, delusioni, tipiche del confronto e del conflitto liberaldemocratico. Oggi l’Europa che viene propagandata non esiste ancora. Esistono Paesi come Polonia e Ungheria con cui fare i conti; il Recovery Fund da finanziare con tasse europee; un Recovery Fund da investire in Italia, e non è ben chiaro come questo avverrà.

Nel frattempo molti dei nostri eroi sedicenti europeisti inseguono il Mes. Al di là dei meccanismi distorti extra Ue (di cui ho già scritto) che violano la liberaldemocrazia (non per caso, ad oggi nessun Paese lo ha preso), ci dovrebbe preoccupare come i sedicenti europeisti vogliono spendere i famosi 37 miliardi per la Sanità. Non è dato saperlo, e questo dovrebbe spaventarci, più di Polonia e Ungheria, a proposito di Rule of Law.


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