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Ritiro Usa dall’Afghanistan? Ecco chi si oppone a Trump

Vertici militari, Nato, governo afghano e persino il leader repubblicano del Senato Mitch McConnell che, tra i pochi, è rimasto al suo fianco. Ecco chi si oppone al piano di Donald Trump per il ritiro completo dall’Afghanistan. Cosa cambierebbe, anche per l’Italia

Il ritiro delle forze americane dall’Afghanistan farebbe ripiombare il Paese in una nuova incertezza, stabilendo condizioni ideali per il rafforzamento del terrorismo internazionale. È questa la linea di chi si oppone al piano di Donald Trump, compatta e trasversale da Capitol Hill (persino nel Senato repubblicano) al team di Joe Biden. Da Bruxelles, sede del quartier generale della Nato, fino a Kabul, dove il governo locale chiede agli Stati Uniti di non ridurre ancora le forze.

LA DECISIONE DI TRUMP

La preoccupazione cresce. Le indiscrezioni di domenica del Washington Post sono state confermate in meno di 24 ore dai funzionari del Pentagono. Il presidente Trump sarebbe ormai prossimo a firmare un ordine esecutivo per tagliare ulteriormente il contingente presente in Afghanistan, facendolo scendere da 4.500 unità a 2.500. “Non c’è ratio militare”, scandisce l’editoriale del WaPo, che riprende tutte le argomentazioni dei vertici militari Usa, già in difficoltà con il passato taglio da 8mila unità stanziate nel Paese fino allo scorso anno.

IL MOMENTO

Trump vorrebbe però accelerare dando seguito a una delle maggiori promesse elettorali e approfittando dell’incertezza che aleggia al Pentagono. Nel giro di cinque giorni, dopo il voto del 3 novembre, il dipartimento della Difesa ha perso il segretario (Mark Esper), il sottosegretario per le politiche (James Anderson), il sottosegretario per l’intelligence (Joseph Kernan) e il capo dello staff del vertice (Jen Stewart). Al posto di Esper è arrivato pro tempore Christopher C. Miller, già stretto collaboratore del presidente come senior director del National security council, scelto da Trump proprio per supportarlo nell’accelerazione di alcuni punti dell’agenda militare, ritiri in primis. Regge al momento il capo di Stato maggiore della Difesa, il generale Mark Milley, che però non ha nascosto insoddisfazione proprio per l’idea di riduzioni frettolose.

I VERTICI MILITARI

Il primo ostacolo per Trump è proprio nei vertici militari. Un contingente di 2.500 unità sarebbe insostenibile – ha spiegato in passato il generale Scott Miller che comanda le forze Usa nel Paese – poiché non in grado di garantire la sicurezza in condizioni che rimangono bollenti in Afghanistan, tra gli attentati a firma talebana e la delicatezza dei negoziati di pace intra-afghani. Affinché la missione sia efficace negli obiettivi (formazione, addestramento e supporto alle forze afghane), deve avere adeguati strumenti di force protection che non possono scendere sotto una certa soglia. Secondo il Washington Post, l’obiettivo di Trump sarebbe però proprio questo: ridurre a 2.500 unità entro Natale, e lasciare poi l’inevitabile completamente del ritiro all’amministrazione Biden, con annesso peso in sede Nato.

IL PUNTO DELLA NATO

Il ritiro americano metterebbe infatti in difficoltà l’Alleanza Atlantica, da tempo allineata sull’idea di “in together, out together” (ormai più un augurio che una strategia) per la missione Resolute Support (in cui si colloca l’impegno Usa come quello italiano, pari a 800 unità). La Nato vorrebbe evitare allunghi solitari, avendo trovato l’intesa interna sull’idea di ritiro “condizionato” al prosieguo dei negoziati intra-afghani. Un ritiro frettoloso dall’Afghanistan avrebbe “un prezzo altissimo” ha spiegato il segretario generale Jens Stoltenberg. Il timore è che il Paese possa tornare “una base per terroristi internazionali” offrendo all’Isis l’opportunità di “ricostruire il califfato del terrore che ha perso in Siria e Iraq”.

IL VALORE DELLA MISSIONE

“La Nato è andata in Afghanistan dopo un attacco agli Stati Uniti – ha ricordato Stoltenberg – con l’obiettivo di garantire che questo Paese non sarebbe mai più stato un rifugio sicuro per i terroristi internazionali; centinaia di migliaia di soldati dall’Europa e oltre si sono uniti alle truppe statunitensi in Afghanistan, e più di mille di loro hanno pagato il prezzo più alto”. Attualmente, ha aggiunto, le truppe alleate sono sotto le 12mila unità. Il peso Usa è notevole, ma “la Nato – ha comunque garantito Stoltenberg – continuerà la sua missione di addestramento, consulenza e assistenza alle forze di sicurezza afgane e si impegna a finanziarle fino al 2024″.

L’OPPOSIZIONE DI McCONNELL

Le argomentazioni del segretario generale sono state riprese a Capitol Hill. Sul tema del ritiro si è alzata in Senato la voce autorevole del leader della maggioranza repubblicana Mitch McConnell, finora tra i pochi big del partito ad aver confermato supporto a Trump. Il ripiegamento completo avrebbe consegue “peggiori” di quelle causate in Iraq dal ritiro voluto da Obama nel 2011, ovvero proprio l’emersione dell’Isis, ha notato il senatore: “Un rapido ritiro delle forze statunitensi dall’Afghanistan in questo momento danneggerebbe i nostri alleati e piacerebbe solo alle persone che ci augurano del male; la violenza che colpisce gli afghani è ancora dilagante; i talebani non stanno rispettando le condizioni del cosiddetto accordo di pace”.

LA PROSPETTIVA DI KABUL

La situazione è confermata da Kabul, dove il portavoce della presidenza afghana Sediq Sediqqi ha manifestato l’insofferenza del governo nei confronti di ipotesi di ritiro completo degli Stati Uniti. “Le forze afghane – ha spiegato – hanno sviluppato un’importante capacità di difesa del Paese, i gruppi terroristici rappresentano ancora una minaccia per gli interessi dell’Afghanistan e dei suoi alleati”.

E BIDEN?

Intanto, tutti gli occhi sono puntati su Biden, che sul tema degli impegni all’estero ha chiarito di seguire le orme dei suoi predecessori (come ripiegamento complessivo degli Usa) ma anche di voler ricostruire la fiducia con gli alleati (Nato soprattutto). I consiglieri del presidente-eletto sono favorevoli a riduzioni numeriche, ma non oltre la soglia della sostenibilità. Hanno già denunciato l’impossibilità di interfacciarsi su questo con Milley e Miller, stante lo stallo della transizione. “Speriamo – chiosa il Washington Post – che i generali possano seguire gli ordini fuorvianti di Trump in modo da offrire a Biden più opzioni oltre al ritiro quando sarà alla Casa Bianca”. E giovedì prossimo l’Afghanistan sarà anche nell’agenda dei ministri degli Esteri dell’Ue. Il Consiglio analizzerà l’evoluzione di vari scenari alla luce dei risultati elettorali negli Stati Uniti. I primi di dicembre sarà la volta della Nato, quando i ministri degli Esteri si ritroveranno in cima all’agenda proprio l’Afghanistan.


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