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Usa in Libia, cosa cambia con la vittoria di Biden

Di Daniele Ruvinetti

È possibile che con il nuovo presidente americano, e con la nuova postura riguardo alla Turchia, possano cambiare diverse cose sulla crisi libica. Il punto di Ruvinetti, strategic advisor ed esperto di Libia, sul processo di pace e su cosa aspettarci dalla nuova Casa Bianca

La vittoria di Joe Biden alle elezioni presidenziali americane è senza dubbio un evento che cambierà gli equilibri geopolitici mondiali, con riflessi molti importanti nelle crisi del mediterraneo in particolare in quella libica; l’approccio della nuova amministrazione democratica sarà più orientata alla collaborazione con l’Europa e molto meno con la Turchia.

Ankara, piuttosto, diventerà un obiettivo da ridimensionare, la sua mira espansionista – retaggio della grandezza ottomana – non viene vista bene dalla nuova amministrazione, anzi rischia di essere elemento di frizione sia in Siria che in Iraq. Ed anche le intese con i russi saranno motivo di riflessione critica a Washington perchè, a differenza dell’amministrazione di Donald Trump, qualla di Biden sarà molto meno dialogante e aperta con Mosca. Anzi cercherà di limitare anche le loro mire di penetrazione in giro per il mondo.

A differenza dell’approccio che ebbe Hilary Clinton quando da Segretario di Stato appoggiò la Fratellanza mussulmana in particolare nel contesto delle Primavere arabe, l’approccio di Biden sarà diverso, più duro verso la Turchia (che della Fratellanza ne è la rappresentazione istituzionale). Mentre rimarrà la forte collaborazione con Israele e quindi anche con gli Emirati che hanno firmato lo storico “accordo di Abramo” proprio negli Usa, e che probabilmente Biden non vorrà assolutamente modificare, in quanto utile proprio in chiave anti turca e anti russa nel Mediterraneo e in Medio oriente.

Una posizione più dura ed intransigente degli americani verso la Turchia avrà ovviamente ripercussioni sulla crisi libica, che vede ora Ankara giocare un ruolo molto importante in particolare in Tripolitani – ricordiamo che grazie al sostegno militare turco il Governo di Tripoli è riuscito a respingere l’attacco del Generale Haftar che stava per conquistare la capitale, l’intervento militare ha quindi salvato il Governo di accordo nazionale guidato da Fayez al Sarraj dalla caduta e dalla conquista delle milizie hafatariane della Tripolitania. Ma ha permesso ai turchi di entrare militarmente nello scacchiere libico con l’installazione di due basi, una aerea ad Al Watiya e una navale a Misurata, e ricordiamo inoltre che l’avanzata di Haftar verso Tripoli era avvenuta che con un tacito assenso di Trump sotto la pressione degli Emirati Arabi. 

Come cambieranno gli equilibri in Libia dopo la vittoria di Biden? Con l’inizio a Tunisi del Forum di Dialogo libico sotto la supervisione dell’UNSMIL (Missione ONU per la LIBIA) si cercherà di fissare una data delle elezioni parlamentari e presidenziali e di formare un nuovo consiglio presidenziale a tre membri più un primo ministro disgiunto che formerà poi il nuovo esecutivo. Questo dialogo è stato preceduto da segnali positivi come gli accordi militari raggiunti dal comitato militare 5+5 ( 5 esponenti militari rappresentativi della est e 5 rappresentativi dell’ovest GNA).

Ma anche da segnali non proprio positivi con tante critiche arrivate sia dall’Est per la troppo presenza di membri della fratellanza mussulmana trai i membri del dialogo invitati dalla missione ONU, che dell’ovest sempre per la poca rappresentatività delle persone invitate della missione ONU al Dialogo. Cosa succederà durante e, soprattutto dopo, questi colloqui non è semplice dirlo perché le divergenze e la spaccature sono ancora molte. Quello che si può prevedere invece è che gli americani torneranno a giocare un ruolo più attivo in Libia con la nuova amministrazione, tenteranno di contenere le spinte espansionistiche sia della Turchia che della Russia che ricordiamo tramite la società di contractor Wagner ha una forte presenza in Cirenaica vicino ad Haftar, e continuerà a dialogare in modo costruttivo con Egitto ed Emirati.

Quindi non mollerà completamente Haftar come qualcuno sperava o pensava, di fatto possiamo dire che rimarrà su una posizione attuale ma con una presenza più forte magari nominando un inviato speciale. Giocherà molto di sponda con l’Europa, continuerà a seguire la lotta al terrorismo, uno dei suoi obiettivi principali in Libia, e farà di tutto per arrivare ad una stabilizzazione del Paese, obiettivo non semplice vista la moltitudine di milizie e tribù e visto anche il peso dei Paesi stranieri interessati allo scenario libico. A questo punto occorre chiedersi se l’Europa e in particolare l’Italia, saranno in grado di cogliere questa nuova opportunità offerta dal probabile futuro presidente degli Stati Uniti per tornare ad avere un ruolo di spessore più ampio in quello che dovrebbe essere uno dei dossier strategici della sua politica internazionale.



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