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Usa, Ue, Cina. Dassù spiega come sarà la Presidenza di Joe Biden

Sarà una presidenza di un solo mandato: Joe Biden guarderà alle sorti dell’America più che a quelle del Partito democratico. All’Europa chiederà di fare ancora di più, a partire dalla Nato. Pugno duro sui diritti umani con Russia e Cina. L’analisi di Marta Dassù, senior advisor di Aspen e componente della task force sul futuro della Nato, già viceministro degli Esteri

Partiamo dal dato essenziale: non è ancora chiaro se i Repubblicani manterranno il controllo del Senato, si dovrà forse attendere i ballottaggi del 5 gennaio. Ma se andasse così, se i Repubblicani, come probabile, controllassero il Senato, la piattaforma elettorale del Partito democratico non sarebbe in ogni caso attuata nelle sue componenti più “radical”.

Il rischio, naturalmente, è quello di una presidenza paralizzata. Tuttavia, e paradossalmente, il governo “diviso” potrebbe aiutare Joe Biden, che è un democratico centrista e moderato, a realizzare quello che vuole effettivamente in prima battuta: combattere l’emergenza Covid e fare passare un pacchetto di stimolo fiscale per sostenere il rimbalzo dell’economia.

Potrebbe essere un pacchetto più modesto di quello discusso da mesi negli Stati Uniti. I Repubblicani, dopo le elezioni, torneranno ad essere più conservatori sul piano fiscale. Ma potrebbero considerare un nuovo pacchetto fiscale. Questo, e il fatto che aumenti delle tasse non saranno attuabili, spiega fra l’altro perché la Borsa americana stia tenendo.

Sarà decisivo, per Biden, il rapporto con Mitch Mc Connell, che guida la maggioranza repubblicana in Senato. Si conoscono da decenni – Biden è in Senato da più di 40 anni, ricordiamolo – e potrebbero arrivare a qualche compromesso.

Può sembrare strano: ma si apre una fase di politica professionale, dopo anni di lotta contro trumpiana contro l’establishment di Washington. Una specie di coabitazione, diremmo in Europa. Il rischio, naturalmente, è che la Presidenza non riesca a combinare granché. E il rischio aggiuntivo, per Biden, è che il Partito democratico si spacchi, vista la forza interna dell’ala radicale.

Ma Biden sarà, vista l’età, un presidente da mandato singolo: guarderà alle sorti dell’America, per come le saprà interpretare, più che a quelle del Partito democratico. Sapendo già che non succederà a se stesso: Kamala Harris, prima donna a diventare vice presidente degli Stati Uniti, sarà uno dei candidati del 2024.bid

In politica estera cambieranno anzitutto i modi, lo stile, l’approccio. Biden è un internazionalista, per il suo record nella Commissione esteri del Senato, e crede nelle alleanze. Riporterà l’America nell’accordo di Parigi sul clima, verserà i fondi all’Organizzazione mondiale della sanità, farà grandi elogi della Nato e correggerà l’ostilità istintiva di Donald Trump all’Unione europea.

Ma resterà comunque concentrato sulle questioni interne: l’epoca in cui l’America funzionava da garante del mondo, nel bene e nel male, è davvero finita. E Washington porrà comunque agli europei il problema di unirsi agli Stati Uniti per una politica di contenimento della Cina, vista in ogni caso come il principale rivale gli Stati Uniti. Il che anzitutto significa controllo delle tecnologie strategiche (la famosa querelle sul G5 resterà sul tavolo).

Biden chiederà agli europei di fare di più, non di meno: di più nella Difesa, assumendosi impegni più consistenti nella Nato (anche il famoso 2% del Pil per le spese della Difesa resterà sul tavolo) e di più verso la Cina, adottando una logica strategica e non solo commerciale.

I consiglieri di Biden in politica estera pensano che la futura presidenza potrebbe proporre una Lega delle democrazie, che vedrà insieme Usa, Europa e alleati asiatici (Giappone, Corea del Sud e forse India) per adattare le regole del sistema internazionale (a cominciare da una riforma del Wto) e contenere le potenze autoritarie.

È probabile che una presidenza democratica sarebbe più netta sul fronte dei diritti umani, anche verso Mosca. E che tornerà a sollevare il problema della dipendenza energetica europea dalla Russia. Mentre si porranno, nei rapporti Usa-Europa, i problemi collegati alla tassazione dei grandi giganti del digitale e all’eventuale carbon border tax: le relazioni commerciali fra le due sponde dell’Atlantico saranno comunque complicate, come già dimostrato dal fallimento del Ttip con Obama. Vedremo.

Ma un’apertura ci sarà, fra le due sponde dell’Atlantico. Se l’Europa vorrà sfruttarla, e per riuscire a trattare con un interlocutore molto più dialogante di quanto non sia stato Trump, dovrà anche assumersi responsabilità dirette molto più rilevanti. E avere una propria visione strategica chiara: dovrà insomma diventare nei fatti, e non solo a parole, un attore geopolitico.


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