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Usa-Ue, vista Berlino. Così la Fondazione Adenauer scruta l’era Biden

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Clima, Difesa, digitale, rapporti con la Cina. Per ricucire e rilanciare i rapporti fra Europa e gli Usa di Joe Biden c’è una lunga lista di cose da fare. Basteranno i prossimi quattro anni? Il dibattito della Fondazione Konrad Adenauer

Tempi di conferme e cambiamenti per l’alleanza atlantica. Dopo la sconfitta dell’isolazionista Donald Trump, sono in molti su entrambe le sponde dell’Atlantico ad auspicare un cambio di passo, seppur declinandolo a modo loro. Il presidente eletto Joe Biden, dal canto suo, ha promesso di riaffacciarsi ai tavoli multilaterali e lavorare per rinsaldare la fiducia (quantomeno un po’ claudicante, dopo gli scorsi quattro anni) degli alleati europei.

L’Europa, però, non ha una risposta unica da dare a Biden, a partire dalla Difesa. Per esempio, Emmanuel Macron è dell’idea che debba raffrontarsi con gli alleati oltreoceano in veste di potenza globale più autonoma, dotata di una difesa indipendente e un’autonomia strategica. Al che la ministra tedesca della difesa e presidente della CDU Annegret Kramp-Karrembauer ha prontamente ribattuto che sì, l’autonomia europea va aumentata, ma non si pensi di scostarsi dall’alleato americano. “Senza le capacità nucleari e convenzionali americane,” ha detto in un intervento, “la Germania e l’Europa non possono proteggersi. Questi sono i fatti.”

La palla sarà nel campo di Biden a partire da gennaio, ma già da ora si prova a divinare il raggio d’azione del presidente democratico. Anche per questo il distaccamento statunitense del Konrad Adenauer Stiftung, l’autorevole think tank tedesco espressione della CDU di Angela Merkel, ha tenuto una conferenza online sulle elezioni americane e il loro impatto sull’alleanza transatlantica.

La fotografia degli esperti intervistati dal direttore Paul Linnarz è di un’America profondamente divisa. E attenzione a pensare che i democratici abbiano trionfato, avverte il politologo ed esperto di comunicazioni Soren Dayton. Non solo la partita per il Senato è ancora aperta (e probabilmente si chiuderà con una piccola maggioranza repubblicana), ma il GOP ha eroso i seggi dem alla Camera, intaccando la loro capacità di passare leggi.

Se si aggiunge che Trump non se ne andrà tanto presto, che sta rimuginando di correre nel 2024 e che al momento rimane la voce repubblicana più importante, ci si può ben immaginare come le mire più ambiziose di Biden potranno essere ridimensionate, specie in politica estera. A rischio, per esempio, la rivoluzionaria agenda climatica promessa da Biden e caldeggiata dall’Europa.

Gli statunitensi sono divisi sul valore delle alleanze internazionali e della Nato, anche grazie alla mentalità mercantilista del presidente uscente. Bruce Stokes, fellow del German Marshall Fund, avverte che l’80% dei repubblicani continua a pensare che gli alleati si approfittino del loro Paese. I dem sono generalmente più favorevoli verso la Nato e il consolidamento delle alleanza. Si registra però un raro consenso bipartisan nei riguardi della Cina; una preoccupazione, avverte l’esperto, che è condivisa dagli europei.

C’è di buono che quasi il 60% degli americani vede di buon occhio l’Ue, evidenzia Stokes, e la maggior parte di loro (sia tra dem che rep) sarebbe d’accordo nel seguire l’Articolo 5 della Nato e alzare le armi in difesa di un alleato, qualora venisse attaccato, diciamo, dalla Russia (al contrario degli europei, più riluttanti a riguardo). Dunque, le basi per espandere la collaborazione Nato ci sono: che altro si può fare?

La preoccupazione nei confronti della Cina è un campo fertile dove cooperare, secondo Stokes, a partire da un fronte comune al calpestamento dei diritti umani ad opera di Pechino. Assieme, si può anche chiedere al Dragone di riconsiderare la reciprocità commerciale, tuttora sbilanciata a sfavore dell’occidente. E occorre unire le forze nella ricerca e sviluppo per rimanere competitivi di fronte allo strapotere tecnologico cinese: solo unendo expertise e mercati statunitensi ed europei esiste una chance, avverte l’esperto.

Importante anche convergere nel ricostruire l’accordo sul nucleare iraniano (cosa che Biden ha già definito desiderabile) e assicurarsi di fronteggiare assieme la minaccia di Mosca.

Per quanto riguarda il rapporto commerciale, “non c’è lo stomaco per un accordo di libero scambio con l’Europa” secondo Stokes, che aggiunge che lo staff di Biden gli ha detto che avrebbero provato, ma non erano sicuri di riuscire. Ci sono però delle aree in cui collaborare: il vaccino per il Covid e la cura per l’economia, ad esempio, da coordinare e condire con una vena di sostenibilità. Sarebbe anche meglio convenire sulla tassazione delle multinazionali, specie quelle tecnologiche, prima di innescare nuove tensioni commerciali.

Importantissimo il clima, dove il rientro dell’America negli accordi di Parigi è “necessario, ma non sufficiente”. Qui occorre lungimiranza: Layla Zaidane, COO dell’organizzazione Millennial Action Project, avverte che i giovani americani di entrambi i partiti sono d’accordo nel voler affrontare il cambiamento climatico. Il Covid ne ha avvicinati milioni alla politica, il loro peso non può che crescere, e sono consapevoli che il successo nella sfida climatica dipenderà tassativamente dalla cooperazione globale.

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