Skip to main content

Via della Seta in salita. Governo italiano assente alla fiera di Shanghai

Il governo italiano ha deciso di non presenziare alla fiera di Shanghai e la delegazione di aziende partite dal nostro Paese è dimezzata rispetto all’anno scorso. La Via della seta è sempre più in salita

È passato esattamente un anno. Era il 5 novembre 2019, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio interveniva all’inaugurazione del China International Import Expo a Shanghai e riceveva presso il padiglione italiano alla fiera il presidente cinese Xi Jinping esprimendo la volontà di aumentare il nostro export verso nuovi mercati per dare valore al Made in Italy. In occasione di quell’appuntamento, di cui l’Italia era ospite d’onore assieme alla Francia, furono firmate varie intese. Tra queste, il Memorandum d’intesa tra l’Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico Orientale e il colosso cinese China Communications Construction Company per lo scalo di Trieste.

In un anno molto è cambiato. Non soltanto per quanto riguarda quell’accordo, finito intanto sotto la scure del dipartimento del Commercio statunitense. La Via della seta è diventata più impervia. Il Memorandum firmato nel marzo dell’anno scorso non sembra aver dato i risultati sperati in termini economici. Per rendersene conto è sufficiente sfogliare il rapporto La Cina: sviluppi interni, proiezione esterna, realizzato dal Torino World Affairs Institute per l’Osservatorio di politica internazionale, organo del Parlamento Italiano in collaborazione con il ministero degli Esteri. Pagina 62: “Se la logica italiana alla base della firma dell’accordo sulla Via della Seta era l’auspicio di un aumento dei rapporti commerciali ed economici, si può dire che a 18 mesi di distanza il calcolo si è rivelato quantomeno ottimistico, se non del tutto fallace. Come si è visto, le esportazioni italiane verso la Cina non sono aumentate in modo significativo, né vi sono stati particolari investimenti cinesi in Italia a seguito dell’accordo”. La partecipazione alla Via della seta “non è condizione né necessaria né sufficiente per aumentare le relazioni economiche con la Cina”, si legge ancora nel documento.

E se alla questione economica si aggiunge anche quella geopolitica — con la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina avviata dal presidente Donald Trump e il conseguente richiamo di Washington agli alleati, in particolare quelli che, come l’Italia, si erano avvicinati “pericolosamente” alla Cina in chiave politica — ecco che non c’è da stupirsi del fatto che quest’anno il governo italiano abbia preferito rimanere lontano da Shanghai.

Pesa, ovviamente, il tema del coronavirus (che già ha rischiato di far saltare fino all’ultimo la visita del ministro Di Maio in Israele la scorsa settimana). Ma è evidente che molto sia cambiato anche sul piano geopolitico (sviluppi che non subiranno dietrofront con un’amministrazione statunitense guidata da Joe Biden, come sembrano saper bene alla Farnesina e in altri ministeri). Il dossier 5G, su cui l’Italia sta lavorando sempre più al fianco degli Stati Uniti contro i fornitori cinesi Huawei e Zte, è l’esempio perfetto di una dinamica che ha sconsigliato un viaggio politico in occasione dell’edizione annuale della fiera di Shanghai: assente (dopo aver partecipato per due anni di fila) il ministro Di Maio, che recentemente ha anche saltato un convegno a cui era atteso, organizzato della Fondazione Italia-Cina, dal titolo “Italia e Cina: 50 anni di relazioni e collaborazione”. È rimasto in Italia anche il sottosegretario Manlio Di Stefano, a differenza di quanto paventato da alcuni giornali.

Che il feeling con la Cina si sia spento lo testimonia il fatto che l’Italia non abbia partecipato a livello politico neppure all’inaugurazione virtuale di ieri, 4 novembre, seguita esclusivamente dalla diplomazia. Gli unici contatti politici da registrare nella giornata di ieri sono stati gli scambi formali di congratulazioni tra il primo ministro cinese Li Keqiang e il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte e tra i due capi di Stato (Xi Jinping e Sergio Mattarella) per il cinquantesimo anniversario dell’instaurazione delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi.

Dal nostro Paese sono partiti comunque oltre 80 espositori italiani (come DiaSorin, Ferrero e Genagricola). Il tutto, però, sotto la regia “tecnica” della diplomazia, in particolare del consolato generale di Shanghai. Inoltre, va sottolineato che nel 2019 le nostre aziende presenti alla fiere di Shanghai erano circa 160 aziende (l’anno prima oltre 190).

La propaganda cinese sta cercando nonostante tutto di dipingere le relazioni tra i due Paesi come solide e proficue per entrambi. Si è spesa, via Twitter, anche la portavoce del ministero degli Esteri cinese Hua Chunying, ossia colei che in piena pandemia di coronavirus diffusa la fake news degli italiani che dai balconi avrebbero cantato “Grazie, Cina”. Video che, come spiegava Pagella Politica, si inseriva “in quella che sembra essere una più larga operazione da parte di Pechino per minimizzare le possibili responsabilità del governo cinese nella diffusione iniziale del Covid-19 e per veicolare il messaggio che la Cina venga apprezzata all’estero per come ha gestito, e sta gestendo, l’emergenza coronavirus”.

Nel corso di questi mesi quell’aggressività comunicativa cinesi (i cosiddetti “Lupi guerrieri”) si è dimostrata controproducente. Al pari della Via della seta, i cui scarsi frutti commerciali non sembrano essere valsi le tensioni con l’alleato storico, gli Stati Uniti.


×

Iscriviti alla newsletter