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Zitti e Mosca. Putin ha blindato la Libia. Ecco chi è stato a guardare

Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan hanno ormai consolidato il terreno conquistato in Libia. Mentre gli Usa sono distratti dal caos elettorale (e l’Ue rimane spettatrice inerme), i due kingmaker accelerano le loro mosse mandando in fumo il prospetto di una pacificazione. L’analisi di Daniele Ruvinetti, strategic advisor ed esperto di Libia

Come scrive Maurizio Molinari nel suo editoriale su Repubblica, è indubbio che nell’ultimo anno la Russia – soprattutto grazie alla milizia privata Wagner Group – abbia consolidato la propria presenza in Libia. I suoi uomini si sono posizionati al fianco del generale dell’Est, Khalifa Haftar, che ha per lungo tempo cercato di rovesciare il governo onusiano Gna. Hanno consolidato la presenza e, dopo il ritiro dal fronte a sud di Tripoli, si sono concentrati su Sirte e al Jufra – sede anche di una componente aerea più volte fotografata dal Pentagono. Nel frattempo, hanno anche costruito una presenza meridionale al confine con Ciad e Sudan.

I russi non intendono lasciare le posizioni conquistate, frutto di investimenti, e questo crea indubbie problematiche sul processo di dialogo in atto, che trova nel ritiro delle forze straniere da entrambi i lati uno dei suoi presupposti. Si intende “entrambi i lati”, perché se in Cirenaica troviamo i russi (e altre compagni emiratine ed egiziane, che hanno anche sponsorizzato altri genere di mercenari), in Tripolitania troviamo i turchi (sia, e più debolmente, in forma diretta, sia tramite i proxy siriani).

Come già evidenziato su queste colonne, Mosca ha addirittura messo la delegata Onu Stephanie Williams davanti a uno scenario netto: quando lei è volata per incontri nella capitale russa, le è stato chiaramente indicato che il Cremlino avrebbe anche potuto porre il veto su nuovi accordi che riguardano il Consiglio presidenziale libico in sede di Consiglio di Sicurezza Onu – da dove dovrà passare qualsiasi nuovo emendamento al percorso che la Libia ha intrapreso sotto egida della Nazioni Unite (la Russia ha potere di veto in quanto membro permanente).

Per la sua tattica libica, la Russia ha assolutamente sfruttato la distanza e la lontananza americana dal dossier, che con l’amministrazione Trump era molto concentrata sull’America First e molto poco sulle questioni internazionali, tra le quali per altro la Libia non era in cima agli interessi americani.

Sul Tempo, Luigi Bisignani aggiunge una riflessione ulteriore che riguarda la Turchia. Il presidente turco, Recep Tayyp Erdogan non a caso è atteso tra qualche ora in Libia, perché – in mezzo ai processi di negoziato in corso – tanto quanto la Russia non vuole perdere le posizioni conquistate. Ha investito molto sul lato di Tripoli (e del governo Gna), è riuscita a respingere Haftar dall’assalto alla capitale, e non intende perdere spazi come conseguenza del dialogo (il Forum di Tunisi che si sta concludendo per quanto riguarda i meeting, ma che avrà contraccolpi successivi per ciò che concerne le implementazioni delle decisioni).

Questa presa sul terreno libico di Mosca e Ankara è certamente un elemento che complica qualsiasi forma di pacificazione, perché è davvero molto difficile che lascino il terreno. Il rischio ulteriore, oltretutto, è che su tutto possa avere un’accelerazione sui propri interessi, perché la nuova amministrazione statunitense di Joe Biden sarà molto indirizzata nel contenimento delle mire espansionistiche, tanto della Russia quanto della Turchia (autori e attori di destabilizzazioni in vari dossier).

In tutto questo, va sottolineato che l’Europa, nonostante la narrazione affidata alla Conferenza di Berlino di inizio anno, di fatto è fuori dal palcoscenico libico. L’Ue non sta giocando il ruolo che potrebbe giocare, ha lasciato spazi che sono stati occupati da russi e turchi e ora è evidente che sia molto complicato metterli fuori.

Tutte queste situazioni si stanno riflettendo sul dialogo intra-libico. Oggi Williams cercherà di fare una forzatura, facendo passare una risoluzione che preveda le elezioni il 24 dicembre del prossimo anno e la costruzione di un Consiglio presidenziale che possa essere più gradito a lei (e all’Onu) piuttosto che ai delegati delle due parti – dove chiaramente permangano le posizioni collegate a quegli attori esterni, i tripolitani e i cirenaici.



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