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Accordo Ue-Cina? Ecco i dubbi del Parlamento. Parla Castaldo (M5S)

Il vicepresidente del Parlamento europeo Fabio Massimo Castaldo (M5S) spiega perché quello Ue-Cina è “un accordo in chiaroscuro”. “Il format franco-tedesco ha preso luci della ribalta scavalcando gli altri Stati membri. L’Aula reagirà con decisione nei confronti della debole clausola sul lavoro forzato. Non possiamo abdicare a certe battaglie di libertà”

Quello annunciato oggi tra Unione europea e Cina è “un accordo in chiaro-scuro” secondo Fabio Massimo Castaldo (Movimento 5 Stelle). Il vicepresidente del Parlamento europeo con delega a diritti umani e democrazia (unico italiano a firmare la risoluzione approvata due settimane fa dal Parlamento europeo in difesa degli uiguri e dei diritti umani in Cina), spiega a Formiche.net perché vede il “bicchiere più mezzo vuoto che mezzo pieno”.

Castaldo, ci sono aspetti positivi e negativi di questa intesa. Partiamo dai primi.

Dal punto di vista negoziale, l’importante accelerazione delle ultime settimane è arrivata anche grazie alle rilevanti concessioni di Pechino, soprattutto su ambiti che erano rimasti finora critici inerenti alla parità di trattamento per gli investitori europei in Cina, il cosiddetto level playing field, specialmente nel settore delle telecomunicazioni, delle auto elettriche, della sanità privata e dei servizi finanziari. Inoltre, sono previsti meccanismi di monitoraggio e una verifica politica annuale, oltre a regole di trasparenza sui sussidi e sull’operato dei colossi cinesi in mano statale. Il problema è che rimangono fuori dall’intesa questioni molto rilevanti come l’apertura degli appalti e il meccanismo per la protezione degli investimenti, rinviato a un successivo accordo da trovare entro i prossimi due anni. In questi ambiti ci sono solo meri impegni politici, non giuridicamente vincolanti.

E gli aspetti più preoccupanti?

È opportuno interrogarsi in primis sulle ragioni dell’accelerazione dopo sette anni di negoziazione: sono evidenti per la Cina considerata l’imminente entrata in carica della nuova amministrazione statunitense guidata da Joe Biden, un po’ meno da parte europea, visto che, in ogni caso, l’importante legge cinese sugli investimenti esteri sarebbe comunque entrata in vigore a gennaio 2021. Questo sprint ha portato a un accordo che desta rilevanti preoccupazioni in alcuni suoi aspetti, in particolare sugli insufficienti impegni cinesi in tema di ratifica e recepimento delle convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro. La formula usata, cioè “sforzi continui e sostenuti”, è eccessivamente vaga e non in linea con l’ambizione che l’Unione europea avrebbe dovuto pretendere alla luce delle violazioni estremamente gravi e preoccupanti di cui costantemente ci giunge notizia dallo Xinjiang. Aver lasciato sullo sfondo certi temi rischia di derubricare la scelta di concludere questo accordo a una opportunità tattica commerciale piuttosto che a una visione strategica di lungo respiro.

Ha fatto riferimento agli Stati Uniti. Il presidente eletto Joe Biden, tramite il suo consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, aveva espresso preoccupazioni. Ora che cosa dobbiamo attenderci?

Negli ultimi quattro anni, l’Unione europea ha criticato Donald Trump per l’assenza di coordinamento su questioni globali. In un certo senso, seppur con toni diversi, rischiamo di commettere gli stessi errori che avevamo correttamente imputato a Washington. Il tutto, nonostante le recenti promesse della Commissione europea di ritrovare una salda dimensione transatlantica. Ora mi domando se non stiamo correndo il pericolo di intaccare la fiducia e la volontà di Biden di tornare a scommettere fortemente sull’asse con l’Unione europea. Firmare un’intesa con queste tempistiche e modalità, a mio avviso, avrebbe avuto molto più senso in caso di conferma di Trump e del suo approccio fortemente muscolare e unilaterale. Ora, invece, sull’altare dell’ottenimento di un ulteriore successo tattico per la presidenza tedesca è stata sacrificata quell’ambizione geopolitica e multilaterale a cui aveva fatto riferimento anche il presidente eletto degli Stati Uniti, con il suo auspicio di un coordinamento transatlantico a tutto tondo, non solo economico e commerciale, ma anche sul piano della sicurezza e dei diritti umani. Anche nei rapporti con la Cina. Autonomia strategica europea vuol dire essere pronti ad assumersi le proprie responsabilità qualora non sia possibile agire altrimenti, non procedere a ogni costo in solitaria anche quando si potrebbe operare in sinergia.

Spesso si è parlato dei diritti umani come collante per il nuovo rapporto tra Stati Uniti e Unione europea.

L’Unione europea non può permettersi di smarrire nel suo percorso e nel suo agire una piena difesa dei suoi valori fondamentali. Abdicare a certe battaglie, come il rispetto dello statuto di autonomia e delle libertà politiche a Hong Kong e alla libertà di religione, farebbe venire meno il nostro ruolo e la nostra credibilità come campioni dei diritti umani. Nel caso specifico di questo accordo, sarebbe stato meglio puntare a mettere l’asticella più in alto, utilizzando anche l’avvento della nuova amministrazione statunitense e della ritrovata sintonia transatlantica non come uno stimolo a chiudere rapidamente ma, al contrario, come una leva per rafforzare la nostra posizione, e ambizione, nel negoziato.

Come reagirà il Parlamento europeo?

Innanzitutto, reitero un concetto espresso anche in altri accordi: il nostro Parlamento chiede da tempo a gran voce più spazio in queste trattative, che continuano a essere condotte con insufficiente coinvolgimento e grande opacità dalla Commissione, specialmente per questo accordo. Il format franco-tedesco ha preso ancora una volta le luci della ribalta anche nella sua conclusione, in modo improprio tra l’altro, scavalcando di fatto gli altri 25 Stati membri, che pur avevano manifestato alcuni importanti distinguo, ma soprattutto l’unico organo direttamente eletto dai cittadini dell’Unione europea. Sono convinto che il Parlamento europeo reagirà con decisione, in particolare nei confronti della debole clausola sul lavoro forzato, che nella sua redazione finale assume più le vesti di un auspicio piuttosto che di un impegno vincolante. Anche la scelta di optare per una ratifica in fast-track, cioè la decisione di avere il solo voto del Parlamento europeo e di non passare dai Parlamenti nazionali, sarà probabilmente foriera di importanti tensioni in seno agli Stati membri. È importante inoltre ricordare che il Parlamento europeo, a questo stadio, non ha ormai alcun potere per intervenire sui termini dell’accordo: o lo approva o lo boccia in toto. Tertium non datur.

Cinque anni fa l’Australia firmava un accordo di libero scambio con la Cina. Oggi le tensioni tra i due Paesi hanno portato al boicottaggio di Pechino contro Canberra. L’Unione europea rischia uno scenario simile?

Il caso australiano e le difficoltà che ha dovuto affrontare negli ultimi mesi dovrebbero farci riflettere con attenzione. Certamente l’Unione europea è un attore di taglia superiore dal punto di vista economico, politico, demografico e commerciale. Ma se vogliamo pensare a un asse geopolitico veramente decisivo, tanto transatlantico quanto multilaterale, visione che personalmente reputo fondamentale e imprescindibile, un’alleanza ampia e capace di coinvolgere tutti i partner pienamente coerenti con i nostri valori e con la nostra visione, permettere alle nostre controparti una gestione divide et impera tra i suoi componenti non è probabilmente la strategia migliore.


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