Skip to main content

Agevolazioni per chi investe in startup, un miraggio che pesa

Di Mario Venezia

Cresce il malcontento per gli annunci legislativi “spot” inerenti a nuove detrazioni che, a causa del vincolo alla disciplina europea o ai decreti attuativi, probabilmente non troveranno reale applicazione nel breve periodo disattendendo le aspettative dei tax planning e alimentando un generale senso di sfiducia. L’analisi di Mario Venezia, professore di Economia aziendale presso La Sapienza

Mitigare le criticità del tessuto imprenditoriale, favorendo l’aumento del livello degli investimenti nelle imprese ad alto tasso innovativo, si identifica con uno degli obiettivi che il sistema legislativo italiano tenta di perseguire ormai dal 2012, anno in cui è emanato il Decreto-legge 179/2012, noto anche come “Decreto Crescita 2.0” o “Startup Act Italiano”.

Da allora, numerose sono state le misure legislative che si sono susseguite per garantire validi incentivi alla crescita imprenditoriale delle realtà più innovative. Dal 2013 al 2016 le agevolazioni fiscali, sotto forma di detrazione ai fini Irpef per le persone fisiche, prevedevano il 19% in caso di investimenti in startup Innovative e 25% in caso di investimento in Startup a vocazione sociale e Startup in ambito energetico, fino a un investimento annuo massimo di 500.000 euro e, sotto forma di deduzione dal reddito ai fini Ires per le società, nella misura del 20% in caso di investimenti in Startup innovative e 27% in caso di investimento in startup a vocazione sociale e startup in ambito Energetico, fino a un investimento annuo massimo di euro 1.800.000, con l’obbligo di mantenere l’investimento per almeno due anni. Negli anni 2017 e 2018, la misura del beneficio diventa pari al 30% sia in termini di detrazione ai fini Irpef per le persone fisiche, fino ad un investimento annuo massimo di 1.000.000 euro, sia in termini di deduzione dal reddito ai fine Ires per le società, fino ad un investimento massimo annuo di euro 1.800.000 (la misura viene uniformata con riferimento a tutte le tipologie di startup oggetto di investimento – Innovative, a vocazione sociale e in ambito energetico).

Le prime fratture iniziano a manifestarsi nel 2019, quando la Legge n. 145 del 30 dicembre 2018 – cosiddetta “Legge Finanziaria” 2019 – annuncia che i benefici fiscali saranno innalzati al 40% dell’investimento e al 50% in caso di acquisizione dell’intero capitale sociale.

Difatti, il decreto attuativo, disciplinante le modalità di accesso agli incentivi fiscali per gli investimenti in startup e Pmi innovative effettuati sia da persone fisiche che da società, pubblicato a luglio 2019 in Gazzetta Ufficiale non si riferisce alla Legge Finanziaria 2019 bensì a quella precedente, confermando una aliquota unica del 30%. È il dicembre 2019, infatti, quando il Mise conferma che il beneficio fiscale non può essere elevato al 40%, così come era invece stabilito nella legge di bilancio 2019. La motivazione alla base di tale annuncio risiede nel fatto che le modifiche introdotte dal comma 218 dell’articolo 1 della legge di bilancio 2019 presentavano taluni limiti in termini di compatibilità con la normativa sugli aiuti della Unione Europea. Pertanto, il governo ha ritenuto di non procedere con la notifica comunitaria della norma, anche in considerazione del fatto che la validità della stessa è limitata all’annualità 2019. Di conseguenza, non si è potuto disporre della autorizzazione della Commissione europea e quindi non è stato possibile applicare le agevolazioni. Trattasi di un primo aggrottamento di ciglia da parte degli investitori, che avevano redatto i loro tax planning includendo i benefici previsti dalla Legge Finanziaria 2019 e che, mossi dall’incremento della percentuale di detrazione, avevano probabilmente investito in maggiori risorse in startup e Pmi innovative.

Anche nel 2020, al fine di rafforzare la disciplina agevolativa, il legislatore ha riservato una serie di incentivi per gli investimenti in startup e Pmi innovative, promuovendo un’articolata normativa che ha visto la luce nel contesto emergenziale determinato dal Covid-19 con il c.d. “Decreto Rilancio”. L’articolo 29-bis del Decreto Rilancio prevede infatti una detrazione pari al 50% per le persone fisiche, con somma massima agevolabile corrispondente a 100.000 euro se si tratta di investimenti in startup e, con la conversione in Legge dello stesso, fino a 300.000 in Pmi per ciascun periodo di imposta. Una prima criticità emersa dal provvedimento è stata la confusione iniziale sulla possibilità di cumulare la nuova agevolazione con la precedente nel caso, non infrequente, di importi eccedenti la somma massima detraibile. Nel caso di un investimento superiore alla soglia di 100.000 euro, infatti, non era stata indicata la modalità di fruizione del beneficio fiscale e quindi se dovesse essere l’investitore a scegliere se utilizzare, alternativamente, la misura contenuta nel Decreto Crescita o quella nel Decreto Rilancio. Ha provveduto a fugare il dubbio l’emendamento n. 1874 risalente allo scorso 3 luglio, che propone la combinazione della detrazione pari al 50% di cui al Decreto Rilancio con la precedente pari al 30% di cui al Decreto Crescita, con prioritaria applicazione della prima rispetto alla seconda.

Come ribadito, tale emendamento, inoltre, innalza la soglia dell’investimento ammissibile, portandola da 100.000 a 300.000 euro, ma sbagliando platealmente l’oggetto, perché ci si rivolge solo alle Pmi innovative, anziché alle startup. Sono queste ultime, invece, a comportare un maggior rischio e a necessitare, perciò, di maggiori incentivi all’investimento. Ulteriore spinosità la si può rintracciare, inoltre, nell’esclusione delle società veicolo dalle agevolazioni fiscali, ossia poter fruire dell’incentivo anche con investimenti effettuati attraverso le società di capitali (e non solo in forma diretta o attraverso fondi di venture capital, come previsto dalla misura). È noto, infatti, che la gran parte del mercato degli investimenti pre-seed e seed sia presidiato da Business Angel, singoli o riuniti in associazioni, da family office, da holding di partecipazioni, e strutturato attraverso società di capitali, che operano intermediando gli ingressi diretti di decine di soci nel capitale delle startup con dei veicoli che li raggruppano. Sono così tagliati fuori dall’incentivo sia i sottoscrittori di holding e di special pourpose vehicles, sia i portali di equity crowdfunding, che offrono l’opzione di investire attraverso un veicolo ad hoc, sia le associazioni di Business Angel, che operano abitualmente tramite società dedicate, all’uopo costituite.

Tuttavia, malgrado la numerosità delle questioni irrisolte appena evidenziate, la problematica più stringente riguarda la pesante assenza, a fine 2020, del decreto attuativo concernente il regime agevolativo per chi investe in startup e Pmi innovative, previsto dal Decreto Rilancio.

I decreti attuativi sono definiti “il secondo tempo delle norme” proprio perché molto spesso l’iter legislativo non si esaurisce in Parlamento, ma necessita di essere completato (per questioni pratiche, burocratiche o tecniche) da decreti ministeriali. Si tratta di una fase molto particolare del processo legislativo, per due motivi principali. L’azione trasla dal Parlamento ai numerosi uffici competenti e le dinamiche politiche lasciano il posto a quelle burocratiche e tecniche. Inoltre, la natura degli atti e degli iter coinvolti si frammenta. In aula si parla di disegni di legge (ddl), emendamenti e leggi, mentre nel “secondo tempo”, quello degli uffici, si fa riferimento a decreti ministeriali, decreti del Presidente della Repubblica, provvedimenti direttoriali, deliberazioni Cipe, protocolli d’intesa, linee di indirizzo, documenti di programmazione e altro ancora. Trattasi di passaggi naturali del processo di attuazione delle leggi approvate dal Parlamento, che però rendono molto difficile monitorare l’implementazione delle norme e capire chi sia responsabile della mancata o cattiva applicazione dei provvedimenti. La moltiplicazione dei soggetti coinvolti compromette, infatti, l’accountability delle istituzioni, ossia la responsabilità di rendere conto ai cittadini e porli così in condizione di capire e giudicare consapevolmente. Un monitoraggio reso complicato anche dalla poca, o meglio incompleta, trasparenza delle comunicazioni governative in materia.

Gli investitori, per il secondo anno consecutivo, si ritrovano a non poter usufruire dei vantaggi annunciati e a dover rivedere i loro tax planning con ridottissimi margini di manovra. Emerge così, ormai a fine 2020, l’esigenza di una comunicazione più precisa dell’anno solare in cui la disciplina agevolativa annunciata potrà trovare effettiva applicazione in modo da avere una situazione più chiara e scegliere consapevolmente in quali ambiti investire. Il sistema legislativo, infatti, rischia di perdere credibilità e di generare un forte senso di disillusione nella importante platea dei soggetti-investitori italiani, che da anni dimostrano di voler accordare fiducia alle realtà imprenditoriali innovative. La proliferazione di enti, associazioni, portali che come obiettivo primario hanno quello di addurre ossigeno finanziario alle startup necessita nel lungo periodo di un coerente e veritiero sostegno legislativo, che non si limiti a essere un mero spot promozionale dei governi ma che supporti in modo intelligente un ambito già di per sé vivace e promettente.

 

 

 

×

Iscriviti alla newsletter