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Perché la casa dei popolari è in Europa (nel segno di Francesco)

Di Giancarlo Chiapello

Mentre la politica italiana è sempre più ingarbugliata, pare strategica la partita che si gioca a Bruxelles. È lì che è possibile ricostruire il rango internazionale dell’Italia, di Paese fondatore e ponte tra Europa e bacino mediterraneo. L’intervento di Giancarlo Chiapello, politico e saggista, tra i fondatori nel 2004 e segretario organizzativo nazionale del movimento laico di ispirazione cristiana “Italia Popolare”

La politica italiana è contemporaneamente tanto ingarbugliata quanto, all’apparenza, ingessata in una situazione in cui ognuno sembra recitare una parte in commedia immutabile non accorgendosi del lento scivolare verso il genere drammatico che richiederebbe un governo di tregua per nulla tecnico ma capace di sussumere le migliori culture politiche del paese al di là del peso contingente. Appare, però, strategica la partita che si gioca a Bruxelles, dal punto di vista delle famiglie politiche: è lì che è possibile ricostruire il rango internazionale dell’Italia, di Paese fondatore e ponte tra Europa e bacino mediterraneo.

Due segnali di sommovimenti in tale direzione sono rappresentati dalle notizie di un Giorgetti che guarda verso il Ppe e la nuova scissione pentastellata di quattro europarlamentari che hanno chiesto l’adesione al gruppo dei Verdi.

Nel primo caso i problemi che si pongono sono di tre tipi: storico, (senza mai scuse), con i cappi sventolati in parlamento contro gli scranni democristiani; politico/organizzativo, non esiste più la vecchia organizzazione “Lega Nord” che è stata sostituita dalla lega di Salvini che ha nel sovranismo e in una forte personalizzazione la sua base ideologica; politico/internazionale, la procedura innescata dal Ppe di espulsione di un grande alleato leghista, anzi di un caposaldo della posizione sullo scacchiere europeo, ossia il capo del governo ungherese Victor Orban, su cui l’informazione mainstream italiana comunque ha costruito una vera leggenda nera.

Nel secondo caso non è tanto di interesse la valutazione della fine della stagione del M5S, nutritosi dalla narrazione anticasta, scappata di mano, dalla linea di una estrema capacità di cambiare idea, che oggi rischia di portare all’eccesso opposto, ossia un discorso estremizzato sulla competenza, che prende il posto di quello ben più significativo, per un politico, della virtù e della formazione, fatto da chi nei tempi passati ha imparato un po’ di mestiere, purtroppo senza pensiero e grandi visioni, che ha in se il rischio di agevolare una tendenza tecnocratica.

Ciò che, invece, pare vada considerato è proprio la possibilità di inquadrare lo spostamento degli ex grillini nella prospettiva di una riorganizzazione di un campo progressista/radicale dove si potrebbe intravvedere, attraverso le liste ambientaliste fatte alle ultime regionali con spezzoni di cattolici formalmente autonomi ma sostanzialmente legati al Pd e al Pse, una sorta di realtà green che tenderebbe a cercare il collegamento col Magistero di papa Francesco spezzettandolo secondo la nefasta e velenosa frattura indotta tra “cattolici della morale” e “cattolici del sociale” riducendolo ad un mero ambientalismo militante ed ideologico seguendo e garantendo la contrapposizione tra cattolici di cui molti hanno bisogno per trovare un motivo al proprio esistere politico (esattamente come sul fronte sovranista/cristianista).

Due questioni che conducono a valutare con serietà una riorganizzazione di una presenza popolare che non può non avere tre caratteristiche fondamentali: l’autonomia, che non significa isolamento, perché non esistono popolari se non in una dimensione amicale, comunitaria e centrista che è altra cosa da presenze, anche autorevoli (quando non sono spezzoni di quella classe dirigente che ha distrutto l’organizzazione popolare e democratico cristiana) dentro partiti di destra e sinistra comunque individuali e troppo spesso ridotte, quando va bene, a dover esprimere su molte questioni sensibili, ma politiche a tutto tondo, un’ obiezione di coscienza; l’essere fuori e in posizione di ricucitura della frattura che sbrindella il Magistero Pontificio e fin anche il Vangelo in due trinariciute ideologie garantendo con un pensiero originale la stessa corretta declinazione della laicità; il popolarismo europeo, perché serve ammettere l’errore storico di una sostanziale ritirata dalla casa europea, rappresentata dal PPE e dalla dimensione internazionalista della vecchia Internazionale Democristiana, pur non negandone anche errori e sbandate, che è stato segno una visione corta e, forse, meramente moralistica.

Dunque è guardando all’Europa, alla sua complessità che è antidoto contro l’esiziale semplificazione sociale dei politici italiani, che è possibile tirarsi fuori dagli scontri tra nostalgici o cercatori di strapuntini per ritrovarsi, in questa fase di cambiamento profondo del campo politico generale, nel Ppe e riscoprirvi la capacità di sintesi ed azione che significa anche rinnovato protagonismo per mezzo di una famiglia politica non assimilabile ai contrapposti populismi destrorso e sinistrorso, sovranista e radicale, che tra l’altro, attraverso i fronti progressisti e conservatori ecclesiali (sic!) convergono nella riduzione del cristianesimo, gli uni a instrumentum regni, gli altri a religione civile.

Questo ritorno a casa, avendo ben in mente che è fattibile attraverso le giovani generazioni di una rinnovata Italia popolare, capace di quella fraternità indicata nell’ultima Enciclica del Papa che può trovare proprio nel popolarismo italiano, la cui storia ed il cui sviluppo sono originalissimi, uno strumento cristianamente ispirato in grado di farsene carico in dialogo con altri pensieri, può fare gli interessi stessi dell’Italia ridando, perché qui sta la sfida, una rappresentanza più forte e più significativa nel partito europeo più grande dell’Unione, dove avviene l’incontro tra i diversi popolarismi dei vari paesi, aumentando in questo modo l’incidenza del Bel Paese, e lo sprone a riprendere il sogno europeo di De Gasperi, Adenauer e Schuman, (che non è quello di Ventotene) che così può rappresentare una spinta determinante per tutti i veri popolari italiani a ritrovarsi e ridare concretezza alla lezione di tanti testimoni: “anche con poche forze si possono fare grandi cose, a patto però che vi siano chiarezza d’idee, entusiasmo, fiducia” (Aldo Moro).

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