La pandemia – con tutta la sua ferocia – non ci toglie il Natale. E noi non vogliamo farcelo rubare. Certo, non è “Buon Natale” come sempre. Ma può essere più vero. Non si gioca nelle strade che si addobbano, ma nei cuori che si aprono. Le parole di augurio di monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita e della Commissione istituita dal ministero della Sanità per la riforma dell’assistenza degli anziani
Cari lettori, Buon Natale! Facciamo bene ad augurarcelo in questo tempo difficile. La pandemia – con tutta la sua ferocia – non ci toglie il Natale. E noi non vogliamo farcelo rubare. Certo, non è “Buon Natale” come sempre. Ma può essere più vero. L’importante è guardarlo bene. Per fortuna le mascherine ci lasciano liberi gli occhi: non chiudiamoli davanti alla straordinaria tenerezza di quel Bambino.
Pensiamo: quel bambino lascia il Cielo per venirci accanto. Non ha paura del virus. Anzi, potremmo dire, che viene proprio perché c’è quel virus. Quest’anno possiamo vivere ancor meglio il Natale. Negli anni passati talvolta ci siamo distratti: abbiamo fatto festa dimenticando il festeggiato.
Quest’anno, il Natale non è più povero. Può essere ancor più ricco e profondo. Vorrei aiutarci a comprenderlo con l’esempio di san Francesco di Assisi. Egli amava in maniera particolarissima il Natale. Diceva che era la festa più bella e più tenera di tutte le feste dell’anno. Ebbene, nel dicembre del 1223, voleva vivere il Natale ancor più intensamente. Un po’ come anche vorremmo fare quest’anno. Francesco si trovava nelle vicinanze di Greccio e al suo amico, Giovanni Velita confidò: “Quest’anno voglio vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato Gesù nel nascere”. San Francesco voleva capire meglio il Natale, voleva “vedere con gli occhi del corpo”, ossia sperimentare, quasi toccare con mano, l’amore di Dio che, pur di starci accanto, accettava di nascere nel freddo di una stalla. E cosa fece? Non il “presepe”, come in genere si pensa. No, quella notte – così racconta la storia – Francesco si recò in una stalla con i suoi frati e la gente di Greccio e fece celebrare la Santa Messa sulla mangiatoia di quella stalla. Un evento del tutto inatteso. E anche senza i permessi dovuti. Ma voleva vedere la lettera del Vangelo. Tommaso da Celano racconta così: “Il santo di Dio sta di fronte alla mangiatoia, lo spirito vibrante di sospiri, di compassione e di grande gioia. Poi il sacerdote celebra solennemente la Messa sopra la mangiatoia ed egli stesso assapora una consolazione nuova”. Quella notte l’altare era la mangiatoia! Solo un amore grande poteva inventare un Natale così.
Cari lettori, è uno straordinario esempio di creatività dell’amore. Quel Bambino a cui nessuno a Betlemme aveva aperto le porte, nacque in una mangiatoia. È questo il mistero del Natale: Dio si contenta di nascere anche in una mangiatoia, pur di starci accanto. Cari amici lettori, accogliamo Gesù. Accogliamo il Vangelo. Accogliamo i poveri. Non importa com’è il nostro cuore – può essere maleodorante (ossia con tanti problemi, ansie, dolori, peccati) come lo era quella mangiatoia – Gesù viene lo stesso. Il Natale ci chiede di aprire gli occhi e i cuori per vedere e accogliere chi bussa, chi ha bisogno di aiuto e di conforto, chi ha bisogno di accoglienza e perdono. Il Natale non si gioca nelle strade che si addobbano, ma nei cuori che si aprono. Per questo sono decisive le parole di un mistico cristiano del Seicento che diceva: “Nascesse Cristo mille volte a Betlemme, ma non nel tuo cuore, saresti perduto in eterno”. Che dire? Questo nostro mondo – e ciascuno di noi – ha bisogno estremo di questo Natale, come quello di san Francesco.