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“Pacific Deterrence Initiative”. Il budget del Pentagono per fronteggiare la Cina

Il Congresso Usa ha trovato la quadra sul budget militare per il 2021, pari a oltre 740 miliardi di dollari. Entra la nuova “Pacific Deterrence Initiative” (7 miliardi) per fronteggiare l’ascesa cinese. Ma servirà la firma di Donald Trump, non facile nell’attuale fase di transizione, soprattutto nell’ambito della Difesa

Vale quasi 7 miliardi di dollari in due anni il rafforzamento della postura del Pentagono sulla Cina, destinato a non subire variazioni nel passaggio tra Donald Trump e Joe Biden. Ieri, da Capitol Hill è arrivato il compromesso tra Senato e Camera sulla bozza di National defense authorization act (Ndaa) per il 2021, l’atto che autorizza le spese per la Difesa a stelle e strisce. Il budget complessivo è confermato su 740,5 miliardi di dollari. Ci sono alcune modifiche rispetto alla richiesta dell’amministrazione Trump, nonché alcune formule volte a bloccare gli ultimi colpi di coda del presidente uscente.

L’ATTENZIONE ALLA CINA

Confermato il ritorno alla “great power competition”, certificato dai documenti strategici degli ultimi quattro anni e ribadito anche dall’amministrazione entrante targata Biden. La nuova “Pacific Deterrence Initiative” vale 6,9 miliardi per due anni, rimpolpata nel budget rispetto alla richiesta del pentagono. Come nota Defense News, si aggiungono 158 milioni, di cui 45 per una task-force multi-dominio dell’Esercito, e 34 per miglioramenti delle infrastrutture militari, su cui il dipartimento della Difesa dovrà presentare un piano entro il prossimo febbraio.

PECHINO NEL MIRINO

L’obiettivo è chiaro. La bozza predisposta dalle due commissioni parlamentari per gli Armed services dice che la nuova Pacific Deterrence Initiative (Pdi) “invierà un segnale forte alla Cina e a qualsiasi potenziale avversario, nonché ai nostri alleati e partner, che l’America è profondamente impegnata a difendere i nostri interessi nella regione”. Previa firma di Trump, la palla passerà all’amministrazione Biden.

LA PALLA A BIDEN

Toccherà infatti alla prossima squadra di governo presentare il piano in dettaglio per ottenere i finanziamenti, con il segretario alla Difesa chiamato a un report ogni anno sull’avanzamento del progetto. Anche per questo, per il prossimo anno sono previsti “solo” 2,2 miliardi di dollari. Tra l’altro i piani di budget predisposti al momento dall’Indo-Pacific command prevedono 20 miliardi spalmati fino al 2026, identificati come necessari per rispondere agli obiettivi della National Defense Strategy. Ciò significa che occorrerà passare per la conferma dei piani da parte della prossima amministrazione. “L’unico modo in cui questo può avere davvero successo è con il team Biden ad abbracciare il concetto e lo integrarlo nella loro richiesta fiscale 2022”, ha spiegato a Defense News Eric Sayers dell’American Enterprise Institute.

UN PIVOT TO ASIA?

L’impegno competitivo sulla Cina supera comunque la Pdi. L’informato sito specializzato americano nota che il disegno di legge sul budget militare si inserisce in una strategia più ampia tesa a “imporre costi sulla Cina per evitare spionaggio industriale e furto di informazioni personali di larga-scala”. È per questo che il bill sul Ndaa prevede una “continua attività” da parte del Pentagono nell’analisi e nello studio della base industriale cinese e delle capacità e attività militari. Il segretario della Difesa dovrà fornire al Congresso un resoconto su base annuale.

IL PIANO DI BUDGET

Ma non c’è solo la Cina nel budget militare degli Stati Uniti per il 2021, pari a 740,5 miliardi di dollari, in linea con il trend di crescita degli ultimi anni, e in attesa di “un bilancio piatto” atteso per i prossimi anni, confermato di recente dal capo di Stato maggiore della Difesa, il generale Mark Milley, tra i pochi vertici del Pentagono rimasti dopo il giro di vite targato Trump. Tra gli altri, il Ndaa uscito dalla negoziazione a Capitol Hill prevede un secondo sottomarino di classe Virginia e 14 F-35 in più rispetto alla richiesta del Pentagono, portando così le possibilità di acquisto nel 2021 a 93 velivoli di quinta generazione. Sono stati esclusi invece i 10 milioni previsti per la realizzazione di un test nucleare, esclusione avvenuta soprattutto per la pressione dei democratici alla Camera dei rappresentanti (un segnale sulla politica nucleare del prossimo presidente).

LA TRANSIZIONE TRUMP-BIDEN

Tutto questo va d’altra parte inserito nella delicata fase di transizione. Per essere legge, il bill dovrà passare per la firma di Donald Trump, che tuttavia ha minaccia di porre il veto in caso sia mantenuta la formula che impone il cambio di nome di alcune basi intitolati ai comandanti confederati. D’altra parte, la bozza concordata da Camera e Senato conserva elementi che potrebbero ulteriormente indispettire il presidente uscente. Prima di tutto, include una disposizione che porrebbe, per tre mesi, un tetto minimo al dispiegamento in Germania a 38.500 unità, impedendo difatti il ritiro (pari a 12mila unità) annunciato da Trump. Formula simile per la Corea del Sud, altro Paese finito negli ultimi anni nel mirino del tycoon in termini di presenza militare americana.

IL NODO TURCO

Il Congresso ha poi confermato la linea dura nei confronti della Turchia per l’acquisto del sistema russo S-400, già testato da Ankara, al centro della disputa con Washington. Da Capitol Hill spesso sono arrivate critiche a Trump per un atteggiamento ritenuto troppo morbido verso la Turchia. E così, nel Ndaa per il prossimo anno c’è una disposizione che prevede l’obbligo di imporre sanzioni nell’ambito del regime Caatsa (Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act) nel giro di 30 giorni dall’entrata in vigore del bill. Ciò significa che l’onere potrebbe ricadere su Biden nel caso in cui Trump decida di firmare il Ndaa non prima delle prossime due settimane, lasciando al suo successore quella che potrebbe rivelarsi un freno a mano tirato nel tentativo di ristabilire una dialogo positivo con Ankara.

MAXI DEAL CON GLI EMIRATI?

Al di fuori del bill sul budget per il prossimo anno, ma legato alle dinamiche politiche di queste settimane, c’è infine l’iniziativa portata avanti in Senato per bloccare il maxi-deal con gli Emirati Arabi. Lo scorso 10 novembre Mike Pompeo ha confermato la notifica al Congresso di un accordo del valore di oltre 23,4 miliardi di dollari. Riguarda prima di tutto gli F-35 su cui Washington è riuscita a superare l’opposizione di Israele, a cui si aggiungono 18 droni armati MQ-9B (di cui tre in opzione), realizzati dalla General Atomics MQ-9B, con consegna prevista nel 2024 e munizioni varie. Per Pompeo serviranno a “esercitare deterrenza e difesa contro l’accresciuta minaccia dell’Iran”. Nonostante l’accelerazione impressa dal segretario di Stato (sulla scia degli Accordi di Abramo), tutto ciò potrebbe incontrare lo stop del Senato. L’iniziativa è sponsorizzata dai democratici Bob Menendez e Chris Murphy, con il repubblicano Rand Paul. Sostengono che l’accordo non tiene conto delle perplessità di Israele, né dei legati emiratini con Russia e Cina.

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