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Così l’Ue può evitare il protezionismo tech. Scrive Charanzová (Renew Europe)

Di Dita Charanzová

A Bruxelles si parla con sempre maggiore enfasi della cosiddetta autonomia strategica. Una necessità da assecondare senza cadere nella deriva protezionistica innescata dalla pandemia. E i rapporti con gli Stati Uniti restano strategici per avanzare l’agenda commerciale. Il commento di Dita Charanzová, vicepresidente del Parlamento europeo

Ci troviamo al secondo grande punto di svolta sul tema del commercio digitale. A partire dai primi anni 2000 si è assistito infatti alla progressiva digitalizzazione del commercio, che si è verificata a cominciare dal processo di produzione, attraverso il sempre maggiore uso dei computer e delle comunicazioni elettroniche. Da allora tutto ciò non ha fatto altro che aumentare, portando il settore digitale a costituire nei prossimi due anni circa il 60% del Pil globale (e queste sono cifre calcolate prima della pandemia).

La crisi causata dalla pandemia da Covid-19 ha acutizzato questa tendenza già affermatasi agli inizi del secolo, ma bisognerà attenderne la fine per valutarne gli effetti di lungo termine. Il Covid ha senza dubbio accelerato la rivoluzione digitale elo sviluppo della cosiddetta economia da remoto.

Effettivamente, per valutare la crescita esponenziale del fenomeno, basterebbe osservare quanto il dibattito pubblico si sia concentrato sui temi relativi all’e-commerce, all’e-learning e all’e-service. Nel periodo della pandemia i servizi digitali hanno permesso all’economia di restare quanto più aperta possibile negli scambi commerciali, ma resta da capire quanto nel futuro essa dipenderà in maniera positiva o negativa dai flussi di dati digitali. Il momento risulta difatti molto impegnativo per i decision maker istituzionali e per chi ha e avrà il compito di regolamentare il settore.

Allo stesso tempo, però, la pandemia ha innescato nel pensiero economico una rinascita protezionistica, e in effetti a Bruxelles si parla con sempre maggiore enfasi della cosiddetta autonomia strategica, soprattutto in alcune frange di quella branca del Parlamento europeo che si può definire economicamente liberale in cui sta crescendo una forte preoccupazione per ciò che può significare questo concetto in termini pratici.

Si teme che l’autonomia strategica possa divenire sempre più un eufemismo per descrivere l’intera strategia europea e, se così fosse, essa potrebbe rivelarsi pericolosa per il futuro dell’Unione. C’è ancora molto da fare nel settore del commercio digitale, dai regolamenti sui trasporti ai sussidi governativi, perciò in sede europea sarebbe importante assicurarsi che il dominio digitale non diventi ostaggio del pensiero protezionista.

Si deve cogliere l’opportunità che il momento storico offre per svolgere le valutazioni necessarie, anche data la Trade policy review che la Commissione europea sta mettendo a punto, all’interno della quale il digitale dovrebbe figurare come priorità-chiave del commercio europeo.

In Europa esistono legislazioni sull’IA e sui dati e le relazioni diplomatiche con partner come l’Australia e come gli Stati Uniti, nella speranza di rinnovare lo speciale rapporto, potranno sicuramente aiutare l’Unione a portare avanti un’agenda commerciale a livello globale.

Ci sono molte questioni che dovrebbero essere discusse con gli altri partner, come la tassazione per chi commercia in servizi digitali o le questioni che riguardano la privacy. Poiché ci si avvicina, ormai è chiaro, a un nuovo modello economico, bisognerebbe facilitare il commercio digitale transfrontaliero, soprattutto in considerazione del fatto che esso acquisisce sempre più importanza di quanto non fosse un anno fa.

Allo stesso tempo si dovrebbe però anche spingere per inserire negli accordi bilaterali che l’Unione stringe con i propri partner e nelle dichiarazioni di intenti che vengono concluse con gli altri Stati dei capitoli che facciano esplicito riferimento alla liberalizzazione del flusso di dati, auspicando inoltre che gli accordi commerciali firmati abbiano un approccio più onnicomprensivo nei riguardi del commercio digitale.

Sul tema, l’Unione europea deve ancora lavorare molto sul mercato unico. È necessario azzerare il cosiddetto digital divide, il divario tra gli Stati membri in termini di commercio digitale che, nel corso della crisi pandemica è cresciuto esponenzialmente; poi un ulteriore fattore riguarda sicuramente le minacce possibili alla sicurezza informatica e il bisogno di creare una migliore e maggiore connettività all’interno dell’Ue.

Quindi c’è molto in gioco, dal livello locale al livello europeo, da quello bilaterale e a quello globale, ed è importante mantenere vivo il dibattito sul tema col fine di spingere gli stakeholder e assicurarsi che qualunque cosa venga decisa sul commercio digitale sia adatta allo scopo.

 

Foto: Dita Charanzová

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