Renzi questa volta sembra fare sul serio per un insieme di fattori oggettivi che hanno indebolito, fin quasi all’immobilismo, l’azione del premier. Che pure una sua indubbia efficacia (e anche popolarità) aveva avuto nei primi e più duri mesi del virus
L’impressione è che questa volta Matteo Renzi faccia sul serio. E che, soprattutto, il governo di Giuseppe Conte abbia le settimane, se non le giornate, contate. Sono diversi gli elementi che lo lasciano presagire. Al “senatore semplice di Rignano”, come qualcuno lo chiama, non è mancato nemmeno questa volta il tempismo: per presentare le sue “rimostranze” ha scelto indubbiamente il momento migliore, e il premier gli ha quasi offerto su un piatto d’argento l’occasione per farlo forzando la mano sia sulla presentazione di uno schema di governance e di contenuti per l’attuazione del Recovery Plan sia sulle questioni attinenti alla delega che tiene gelosamente per sé dei sempre più centrali Servizi di sicurezza.
Anche il dilazionamento da parte di Renzi dei tempi dell’azione, diciamo una “Opa ostile” diluita in più fasi, sembra avere una sua ragione politica, oltre quella evidente e istituzionale di far passare la legge di Bilancio. È come se questi giorni di festa (molto relativa in verità) servissero non tanto a far cuocere a fuoco lento, come pure si dice, il premier, quanto a preparare l’alternativa, con tanto di numeri, da portare a inizio anno nuovo al Presidente della Repubblica.
Il quale, a quel punto, Costituzione alla mano, non potrà fare quell’atto che pure, secondo gli spifferi che sono arrivati in queste settimane dal Colle, egli avrebbe più volte minacciato di fare: sciogliere le Camere e mandare gli italiani alle urne. Renzi questa volta sembra fare sul serio per un insieme di fattori oggettivi che hanno indebolito, fin quasi all’immobilismo, l’azione del premier, che pure una sua indubbia efficacia (e anche popolarità) aveva avuto nei primi e più duri mesi del virus. Il fatto è che è soprattutto il Pd che non intende più fare buon viso a cattivo gioco davanti a una situazione di stallo di cui anche Conte è consapevole ma da cui intendeva fino a ieri uscire semplicemente avocando a sé, anche con una certa arroganza e mancanza di forme, quanti più poteri possibili in vista dell’attuazione del famoso Piano di ripresa.
È come se Conte non si fosse reso conto che non si trattava, per il momento, solo di sopire i contrasti evidenti all’interno del Movimento Cinque Stelle, procrastrindone l’annunciata implosione semplicemente rimandando scelte per i grillini divisive ma fondamentali per il Paese, a cominciare da quella del Mes. Il quale, “condizionalità” più o meno effettive a parte, se ben speso darebbe fiato ad una sanità a pezzi che è poi risultato essere il vero vulnus che ha portato al fallimento il pur tanto decantato, all’inizio, “modello italiano”.
Il presidente del Consiglio non si è reso conto, in particolare, che con i fondi del Recovery Plan, con il Mes e, in generale, con la capacità dell’Italia di rimettersi in carreggiata, si giocava la faccia un’intera classe politica piddina che lungo l’asse Roma-Bruxelles era andata costruendo negli ultimi decenni la sua fisionomia. È come se a un certo punto anche Conte stesse sperimentando sulla sua pelle quel momento in cui il leader perde il “tocco magico” che prima aveva e, riproponendo gli stessi atti di prima, non solo non sortisce effetti positivi ma aggrava ancora di più la disaffezione e persino il fastidio dei più nei suoi confronti: quanti italiani sopportano ancora la comunicazione aggressiva made in Rocco Casalino che ieri è arrivata, secondo molti di loro, a speculare addirittura sulla liberazione dei diciotto pescatori in mano alle autorità libiche della Cirenaica?
Aver insistito, da parte di Renzi, nella famosa letterina di Natale consegnata al premier, sul “cambiamento di metodo”, sembra perciò aver sfondato una porta aperta. Cosa poi egli farà, dopo il 10 gennaio, cioè la data in cui scade l’ultimatum posto al presidente dl Consiglio, non è dato sapere perché non dipende solo da lui, e nemmeno dalle sole forze di maggioranza.
Sembrerebbe infatti che avendo posto come condizione Mario Draghi, che secondo voci sempre più insistenti prenderà il posto di Conte e con un suo governo semitecnico accompagnerà il Paese verso il semestre bianco impostando il corretto cammino per la ripresa, un appoggio di forze amplissimo, da vero e proprio governo di salvezza nazionale. L’arco di queste forze comprenderebbe non solo Forza Italia, ma anche una Lega sempre più intenzionata non solo a testimoniare le proprie idee ma anche a rientrare a pieno titolo nei giri ove “si puote ciò che si vuole”, cioè gli eventi si determinano.