Leggo il nuovo DPCM e ritrovo la cultura antropologica di Locke. La sopravvivenza, purtroppo, è stata resa nuovamente attuale dall’emergenza socio-sanitaria, ma, almeno, dovrebbe essere stato, definitivamente, sconfessato l’individualismo. Torno, allora, a rileggere Supiot: “Conferire un senso alla nascita, alla nostra nascita e a quella dei nostri figli, significa comprendere che ci inscriviamo all’interno di una catena generazionale, che siamo debitori della vita, e attraverso ciò comprendere l’idea della casualità. Riconoscere la nostra natura sessuata significa comprendere che incarniamo soltanto una metà del genere umano, che abbiamo bisogno dell’altro, e attraverso ciò comprendere l’idea di differenziazione, imparando a rapportare la parte al tutto. Introiettare l’idea della morte significa riconoscere che il mondo continuerà ad esistere dopo di noi, che la nostra vita è sottoposta a un’istanza che va al di là di noi e attraverso ciò comprendere l’idea di norma” (Homo juridicus, Bruno Mondadori, 2006)
DPCM, da Locke a Supiot
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