Chi vuole davvero le elezioni, rischiando che i propri parlamentari cambino casacca pur di sostenere qualcosa che tenga lontane le urne? Perché è questo che sta serpeggiando nelle aule parlamentari, dopo il taglio degli scranni ratificato col voto popolare: la paura del non ritorno. La rubrica di Pino Pisicchio
Non mi azzarderei a fare subito bilanci per quest’anno bisesto: mancano ancora undici giorni e l’unica cosa che il 2020 ci ha fatto capire è che sta illustrando in natura la perfetta declinazione di tutte le famose leggi di Murphy. Quindi lasciamo stare.
Diciamo però che questa coda si sta presentando più vivace del previsto. Troppo vivace sul fronte del Covid-19, con il tasso di contagi schizzato all’ennesima potenza e, purtroppo, con il numero dei decessi che somiglia ad un pogrom generazionale: la minoranza rappresentata dagli italiani della terza età si sta estinguendo e non per cause naturali. Quello dell’eccidio degli anziani per via epidemica è un fatto insopportabile che dura dall’inizio della pandemia. Ne abbiamo denunciato la drammaticità proprio da queste colonne all’inizio dell’anno quando, a dispetto di ogni evidenza, i media nazionali sorvolavano elegantemente sul dato, soffermandosi più volentieri sul numero dei guariti, secondo lo schema proposto dal bollettino quotidiano delle autorità sanitarie che, come ognuno può vedere, continua a riportare il numero totale dei decessi ma non l’incremento giornaliero. Che ormai, essendo così alto, non può essere più taciuto neanche dalla tv di Stato. Ma risposte convincenti su questo versante non ne abbiamo ancora ascoltate: perché così tanti morti da noi? E che nessuno provi a dire che è perché siamo un popolo di vecchi, perché la Germania e il Giappone lo sono più di noi e non hanno gli stessi decessi.
Sul piano della vivacità politica, poi, il sismografo oscilla con entusiasmo: sembrerebbe che la lunga luna di miele del comandante in capo Conte stia subendo un momento di stanca. Anzi: parrebbe che tutto il governo stia avendo il suo punto di flesso, se guardiamo le classifiche di gradimento che riporta il quotidiano importante di Milano, secondo cui sopravanza tutta la compagine il ministro della Salute. Proprio quella salute che sta svaporando con sinistra evidenza…
C’è poca aria di Natale in giro, ma molta aria di crisi. Le agitazioni della piccola Italia Viva sembrerebbero come quelle guerre locali che le grandi potenze si fanno per procura, per non sporcarsi le mani direttamente. Ma c’è qualcuno in giro che vuole davvero andare al voto anticipato? Solo la Meloni lo rivendica, ma è un mantra stanco anche quello perché i sondaggi sembrano inchiodarla attorno al valore di seconda potenza dell’area, come i Cinque Stelle nell’altro campo. Frustrando le sue ambizioni di egemonia nel centro-destra.
Dunque chi vuole davvero le elezioni, rischiando che i propri parlamentari cambino casacca pur di sostenere qualcosa che tenga lontane le urne? Perché è questo che sta serpeggiando nelle aule parlamentari, dopo il taglio degli scranni ratificato col voto popolare: la paura del non ritorno. Se cade Conte si può davvero essere certi che se ne trovi un altro con una maggioranza solida che consenta di arrivare al 2023? Forse sì, se ci fosse un personaggio autorevole e super partes a gestire il nuovo complicatissimo tempo. E zacchete: il quotidiano piccolo per diffusione ma lungo come le gazzette dell’Ottocento, celebra in vita e salute super Mario Draghi, regalando il libro che raccoglie i suoi discorsi. E come si fa a non convenire?
Piuttosto rattrista constatare che, quando si deve pensare a qualche altra personalità italiana che possa svolgere ruoli di vertice nelle istituzioni, non vengano in mente altri se non lui: qualche anno fa forse avremmo potuto contarne almeno una dozzina. Però: ammesso e non affatto concesso che Draghi trovi il gradimento di una maggioranza parlamentare (ma il partito più consistente in Parlamento non è tra quelli che hanno sempre contestato i governi tecnici? Che peraltro sono fatti, appunto, da tecnici e non da politici, dunque senza parlamentari?) siamo poi sicuri che accetterebbe di coinvolgersi nella guerra di trincea della presidenza del Consiglio? Se proprio fosse disponibile a svolgere un ruolo nelle massime istituzioni della Repubblica, avrebbe solo da aspettare qualche mese, o no?
Faccio una scommessa: si chiude tutto con un rimpastino, magari corroborato con un votino di fiducina. Sulla squadra dei tecnici che dovrebbero rappresentare l’autorità delegata alla gestione delle risorse si trova la quadra. A volte basta cambiare nome. Mai sottovalutare le risorse inesauribili di un buon leguleio.