Per assumere l’incarico di guidare una zattera che pare sul punto di andare a picco, l’ex governatore della Banca d’Italia dovrebbe avere garanzie che nessuno ora può dargli. Tanto più che con le sfide sul tappeto, non è tempo di governi “tecnici” chiamati a risolvere problemi di finanza pubblica ma di una guida “politica” con una vista a lungo termine che sappia far traghettare l’Italia tra i marosi della pandemia
Ci sarà una crisi di governo dopo l’Epifania, ossia immediatamente dopo il termine del lockdown di Natale e Capodanno? Tutto sembra presagirlo: non solo le difficoltà all’interno della maggioranza per mettere a punto le misure di contenimento del virus e le dichiarazioni di esponenti di uno degli azionisti di questo esecutivo secondo cui il presidente del Consiglio non ha più la fiducia accordatagli al momento della formazione del governo, ma soprattutto la stasi nell’azione politica.
Gli osservatori, non solo italiani (basta scorrere la stampa estera), hanno la chiara impressione che l’agenda di governo si sia arenata dopo la soddisfazione di alcune richieste di bandiera del Movimento Cinque Stelle (M5S), soprattutto la riduzione del numero dei parlamentari. Non si è fatto alcun passo, ad esempio, in materia di utilizzazione dello “sportello sanitario” del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) e di politica di sviluppo, in quanto la proposta relativa alla Recovery and Resilience Fund (Rrf) del Next Generation Eu, elude tutti gli interrogativi a monte sulle finalità del programma, non dice una parola sui “parametri di valutazione” e sui “criteri di scelta” dei progetti né sulle “stazioni appaltanti” per la loro attuazione e pare unicamente orientata ad accentrare ulteriormente funzioni nella presidenza del Consiglio e in collaboratori scelti in modo puramente discrezionale.
Si fa il nome dell’ex governatore della Banca d’Italia e dell’ex presidente della Banca centrale europea prof. Mario Draghi come successore del prof. avv. Giuseppe Conte senza, però, chiarire di quale maggioranza sarebbe alla guida o se sarebbe a capo di un governo puramente “tecnico” che tutte le forze politiche appoggerebbero nel timore dell’alternativa: andare alla urne in un momento in cui la pandemia (anche a ragione del “virus inglese”) si annuncia più severa e nel timore di numerosi parlamentari di non ritrovare più i propri scranni.
Condivido pienamente le perplessità espresse da Gianfranco Pasquino su questa testata sulla disponibilità di Mario Draghi di mettersi alla guida di “un’armata Brancaleone” che ha mostrato di essere litigiosa e di avere come unico collante quello di evitare lo strumento democratico delle elezioni. Ho avuto modo di conoscere Draghi diversi anni fa quando era consigliere del ministro del Tesoro. Anche se non abbiamo avuto modo di interagire per circa un quarto di secolo, ho il chiaro ricordo che se è persona che in momenti difficili sa prendere decisioni difficili, non è uomo da avventure. Per assumere l’incarico di guidare una zattera che pare sul punto di andare a picco dovrebbe avere garanzie che nessuno ora può dargli. Tanto più che con le sfide sul tappeto, non è tempo di governi “tecnici” chiamati a risolvere problemi di finanza pubblica ma di una guida “politica” con una vista a lungo termine che sappia far traghettare l’Italia tra i marosi della pandemia, sia in grado di dare una prospettiva di sviluppo alle nuove generazioni ed abbia il supporto di una maggioranza anche essa “politica” che condivida questi obiettivi.
Occorre, però, chiedersi quali sono le alternative. Nella fantasia dei cronisti parlamentari e dei notisti politici ce ne sono molte: da quella secondo cui il Partito Democratico rialzi la testa ed imponga il proprio programma, che è molto differente di quello di Italia Viva (IV), ad un M5S letteralmente terrorizzato dalle urne a quella di un governo di unità nazionale o quasi. Sono praticabili? Come scrisse il Manzoni “ai posteri l’ardua risposta”.