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Chi ha paura di Mario Draghi (tutti). Il commento di Giuliani

Che l’ex presidente della Bce costituisca la riserva strategica del Paese è evidente, come la drammatica consapevolezza che lor signori sarebbero disposti a chiamarlo solo sull’orlo della disperazione o oltre. Senza sovrapporre nomi e situazioni, ci siamo già passati con Mario Monti. Lasciare il lavoro sporco a quello bravo e poi riprendere come se nulla fosse. Un’illusione che forse lo stesso Draghi farebbe bene a togliere a tutti i partiti. Il commento di Fulvio Giuliani

Chi ha paura di Mario Draghi? Tutti. Nei palazzi della politica, si intende. Parliamo di un alieno, del resto.
Impossibile definire in altro modo un supertecnico, che ha dimostrato con i fatti – e che fatti! – di conoscere perfettamente il senso della propria missione, senza mai confonderlo con gli interessi di una sola parte.

Una realtà ignota alla nostra classe politica, grandemente impegnata in queste ore in un lunare dibattito sul rimpasto, mentre il Paese è allo snodo più delicato dei suoi ultimi quarant’anni. Interessa solo a loro, ma non se ne accorgono o semplicemente non gli interessa.

Pretendere da protagonisti di tal fatta il riconoscimento (reale, non a chiacchiere pelose) di un Mario Draghi risulta complesso. Che l’ex presidente della Bce costituisca la riserva strategica del Paese è evidente, come la drammatica consapevolezza che lor signori sarebbero disposti a chiamarlo solo sull’orlo della disperazione o oltre. Senza sovrapporre nomi e situazioni, ci siamo già passati con Mario Monti. Lasciare il lavoro sporco a quello bravo e poi riprendere come se nulla fosse. Un’illusione che forse lo stesso Draghi farebbe bene a togliere a tutti i partiti.

Nel frattempo, proviamo a capire perché gli attuali protagonisti della scena politica facciano spesso a gara in un curioso gioco: sostengono di aver già incorporato nei propri (invero alquanto confusi) programmi per i prossimi mesi gran parte delle idee di Mario Draghi. Scegliete una qualsiasi delle interviste, in cui l’ex numero 1 della Bce è nello scomodo ruolo di convitato di pietra: quasi sempre il politico di turno aggiungerà la postilla “come detto da Draghi, come sostenuto da Draghi, esattamente come dice Mario Draghi”. A meno che quest’ultimo sia il “nemico” dichiarato, come nel caso della leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni. Quest’ultima, almeno, ha la coerenza di riconoscere in Draghi l’avversario naturale, diremmo anzi l’antitesi, di tutto ciò che il sovranismo va propagandando da anni. È una posizione, però, nei fatti irrilevante, in vista dei prossimi mesi, perché di opposizione dura e pura.

Molto più influente e sottile, per non dire subdola, quella di chi in teoria dovrebbe accogliere a braccia aperte la riconosciuta e indiscutibile competenza dell’uomo che salvò l’euro. Solo che riconoscerla, significherebbe sottomettersi alla medesima, un atto a cui evidentemente gran parte degli attuali leader non si sente psicologicamente pronta.

Così, questo pericoloso gioco rischia di avvitarsi su se stesso, soprattutto sulla pelle del Paese.

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