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Gaia X, se il Cloud europeo parla anche agli Usa. Scrive Darnis

Lo sviluppo di capacità autonome europee nel mondo digitale con il cloud europeo Gaia X non elimina la possibilità di rinnovare l’Alleanza atlantica tenendo conto della complementarità tecnologica fra Europa e Stati Uniti. L’analisi di Jean-Pierre Darnis, consigliere scientifico dell’Istituto affari internazionali

Durante il recente Gaia-X summit sono stati presentati una serie di progressi nella costituzione di un’infrastruttura cloud europea che dovrebbe iniziare a funzionare entro la fine 2020 inizio del 2021.

Il ministro per l’Innovazione Paola Pisano ha confermato l’interesse dell’Italia per un’iniziativa che vede 29 aziende italiane partecipare fra le quali Tim, Intesa Sanpaolo, Engineering, Enel, Leonardo, Poste Italiane e Sogei.

L’iniziativa, che era stata lanciata nell’agosto del 2019 dal ministro tedesco dell’Economia Peter Altmaier, ha conosciuto poi una consolidazione abbastanza veloce incrociando le priorità già definite nell’agenda digitale del presidente francese Emmanuel Macron, ma anche il supporto da parte di una Commissione europea che, con il commissario Thierry Breton, già presidente di Atos, si è molto impegnata sul tema della sovranità tecnologica e digitale.

La crisi del Covid ha poi accentuato l’interesse per il controllo della produzione e l’autonomia in una serie di settori, sia per permettere una maggiore resilienza all’Unione europea, sia poi per evitare ingerenze esterne, ad esempio la presa di controllo di aziende ritenute come strategiche da parte di gruppi stranieri.

Il rafforzamento di questa priorità politica è venuto anche a incrociare un’altra tematica presente nelle agende di governo dal 2019: la potenziale ingerenza cinese tramite pezzi di tecnolo gia impegnati per la rete 5G.

La posizione statunitense in materia è stata molto netta, mettendo in avanti le falle nella sicurezza dei sistemi con componentistica cinese e spingendo anche gli alleati europei a una scelta in materia. D’altro canto una serie di dossier sull’utilizzazione dei dati personali da parte delle autorità e del governo hanno creato una certa diffidenza fra Unione europea e Stati Uniti.

Sia nel contesto dei procedimenti di giustizia (come la possibilità per le autorità americane di utilizzare dati relativi a cittadini europei che transitano per piattaforme statunitensi, oppure la questione della trasmissione dei dati per procedimenti di giustizia), ma anche nelle attività di spionaggio (come rivelato dal caso Snowden).

Se da un lato gli europei diffidano del sistema cinese, anche in nome di un concetto diverso di privacy e di ruolo dello Stato, il rapporto transatlantico nei campi digitali e tecnologici non è più così naturale come lo era durante la seconda metà del XX secolo. Esiste quindi un rischio di tripartizione del mondo, con delle sfere di influenza differenziate corrispon- denti anche a delle nuove forme di sovranità digitale fra Stati Uniti, Cina e Unione europea.

L’Europa rimane tuttora molto legata alla sfera digitale statunitense, basti pensare che non esistono piattaforme europee, ma anche che la stragrande maggioranza delle attività digitali europee transita sui cloud dei colossi americani. D’altro canto gli Stati Uniti non hanno risparmiato gli sforzi per spingere gli alleati europei a distaccarsi dalla sfera tecnologica cinese.

È attualmente in atto una politica di sviluppo di capacità autonome, ma soprattutto lo sforzo di imporre regole consone alle norme e visioni europee. L’importanza della via regolamentare europea è stata già illustrata dalla Rgpd.

Oggi si va verso un cloud europeo, il Gaia-X appunto, che appare prima di tutto come un’opportunità industriale per aziende europee che erano fino a oggi escluse da questo settore e che ambiscono a sviluppare capacità e prodotti. Tra l’altro va rilevato che Microsoft, Google, Intel, Palantir, Oracle, Salesforce, Alibaba e Huawei hanno aderito al progetto Gaia-X.

Queste società extra-Ue non potranno accedere alla cabina di regia del programma, ma si posizionano come partner e quindi capaci sia di recepire le infrastrutture tecnologiche e regolamentari in via di definizione intorno al cloud europeo, sia di influire sulle scelte, come illustrato recentemente dal commissario Breton.

Quest’esempio potrebbe però essere una via particolarmente interessante per l’Europa, quella di spingere su investimenti e iniziative proprie che possono determinare una capacità tecnologica e regolamentare maggiore. Il che non andrebbe necessariamente ad alimentare un fenomeno di chiusura in blocchi ermetici, ma potrebbe offrire termini maggiori di contrattazione e quindi di apertura fra i vari sistemi.

Si tratta sicuramente di un approccio allo stesso momento non ingenuo ma costruttivo che va adoperato anche per approfittare del cambio di amministrazione statunitense e rinnovare i termini di un’alleanza atlantica che può essere ricostruita, anche tenendo in considerazione la complementarità tecnologica fra le due sponde dell’Atlantico, diversa dalla contrapposizione pressoché totale con il mondo cinese.


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